Anuario de Estudios Medievales 54 (2)
ISSN-L: 0066-5061, eISSN: 1988-4230
https://doi.org/10.3989/aem.2024.54.2.1338

L’esercizio di governo degli ufficiali regi nella Sicilia di Alfonso V (1416-1458): alcune osservazioni sui commissari

The exercise of government by royal officials in Sicily under Alfonso V (1416-1458): some observation on commissarii

 
Sommario

INTRODUZIONE1Abbreviazioni utilizzate. ACA, RC = Archivo de la Corona de Aragón di Barcellona, Registros de la Real Cancillería; ACP, AS: Archivio Comunale di Palermo, Atti del Senato; ACP, CC: Archivio Comunale di Palermo, Consigli Civici; ASCC, AG = Archivio Storico Comunale di Catania, Atti dei Giurati, regesti di Matteo Gaudioso; ASP, PR = Archivio di Stato di Palermo, Protonotaro del Regno; ASP, RC = Archivio di Stato di Palermo, Real Cancelleria. Se nel documento l’anno non risulta specificato, ma è stato possibile identificarlo con sicurezza, lo indico tra parentesi quadre; ricorro alle parentesi tonde in caso d’incertezze nella lettura della data. Nelle trascrizioni uso le parentesi quadre e quelle tonde rispettivamente per parole mancanti o di cui non sono sicuro. Ho presentato una prima versione di questo testo nel colloquio Gouverner le royaume: le roi, la reine et leurs officiers. Les terres angevines au regard de l’Europe (XIIIe- XVes.), organizzato dall’École française de Rome, il 20-23 settembre 2017.

 

Nella Sicilia bassomedievale un graduale sviluppo istituzionale caratterizza i governi locali, che nel regno di Alfonso V si concretizza in un consolidamento e in un ampliamento sia dell’autonomia nella politica fiscale sia delle prerogative degli ufficiali elettivi e regi.2Sono numerosi i contributi relativi alla fase che qui esamino, mi limito a segnalare in questa nota e nelle seguenti, quelli che, anche con proposte diverse, hanno arricchito le interpretazioni storiografiche. Si vedano Vincenzo D’Alessandro, Politica e società nella Sicilia aragonese (Palermo: U. Manfredi, 1963); Illuminato Peri, Restaurazione e pacifico stato in Sicilia 1377-1501 (Roma: Laterza, 1988). Rinvio in particolare a Henri Bresc, Un monde méditerranéen. Économie et société en Sicile 1300-1450 (Roma: École française de Rome, 1986); Illuminato Peri, La Sicilia dopo il Vespro. Uomini, città e campagne 1282/1376 (Roma: Laterza, 1990); Stephan R. Epstein, Potere e mercati in Sicilia. Secoli XIII-XVI (Torino: Einaudi, 1996); Stephan R. Epstein, «Governo centrale e comunità locali nella Sicilia tardo-medievale: le fonti capitolari», in Atti e comunicazioni del XIV Congresso di storia della Corona d’Aragona (Cagliari: Carlo Delfino editore, 1990), 5:403-438. Il governo di Alfonso V da un lato accolse la forte pressione delle comunità interessate a conseguire un avanzamento dei loro sistemi di garanzie e di privilegi, dall’altro riuscì a ottenere più facilmente le contribuzioni economiche in un contesto d’espansione territoriale. L’incremento dell’autonomia implicò effetti diversi, tra cui un aumento del confronto politico, in contesti in cui gli ufficiali elettivi esercitarono facoltà d’ampio respiro e poterono essere espressione d’interessi di parte.3Questi equilibri influenzarono anche i rapporti di forza nel regno di Giovanni II (1458-1479); si veda Fabrizio Titone, «Conflicto y negociación: el populus en Catania y su participación política en el siglo XV», in La ciudad medieval: nuevas aproximaciones, a cura di Ángela Muñoz Fernández e Francisco Ruiz Gómez (Cádiz: Universidad de Cádiz, 2018), 215-252. Inoltre, il frequente ricorso da parte del sovrano alla vendita dell’ufficio regio del capitano, a capo della curia penale preposta all’amministrazione di primo grado, così come la presenza di capitani nativi, misero a rischio l’imparzialità dell’operato giudiziario. Non era, quindi, inusuale che il sovrano o il viceré o la magna regia curia, cioè il principale tribunale centrale che aveva prerogative giurisdizionali in materia criminale e civile in primo grado e in appello, decidessero d’inviare un funzionario per realizzare indagini, ad esempio su abusi di potere, e per portare a termine uno stato di conflitto.

Con questo studio è mia intenzione considerare le modalità di intervento degli ufficiali regi itineranti e approfondire le reazioni al loro ruolo. Se in un contesto d’ampliamento delle prerogative dei governi locali (è nota la definizione di Stephan Epstein di «secolo delle città» per la Sicilia del Quattrocento)4Epstein, Potere, 392. era ampiamente accettato che i responsabili dell’amministrazione rispondessero del loro mandato una volta concluso; era frequente una pressione per limitare le ispezioni che andavano oltre questo limite o, al contrario, per richiederle. È innegabile un grado di tensione, l’ispezione non doveva derogare ai privilegi del luogo, ma questa, intendo evidenziare, non consolidava una contrapposizione tra il sovrano e la comunità. Da un lato il primo era interessato a prevenire o disattivare stadi conflittuali e mantenere il pacifico stato, per ricorrere a una espressione comune della cancelleria regia; dall’altro parti cittadine erano interessate a far giudicare i colpevoli di abusi.5Cf. María Ángeles Martín Romera e Hannes Ziegler, a cura di, The Officer and the People: Accountability and Authority in Pre-Modern Europe (New York: Oxford University Press, 2021); Moritz Isenmann, Legalität und Herrschaftskontrolle (1200-1600): eine vergleichende Studie zum Syndikatsprozess. Florenz, Kastilien und Valencia (Frankfurt am Main: Vittorio Klostermann, 2010).

Inoltre, mi prefiggo di stabilire quali circostanze potessero mettere in discussione le funzioni di vigilanza dei funzionari preposti al controllo e, se per i contesti qui in esame, valga quanto osservato da Guido Castelnuovo sulle amministrazioni bassomedievali. Secondo lo studioso il fatto che un ufficiale fosse sempre più legato a una realtà da vincoli d’interesse e di complicità comportava il rischio che si trasformasse in un rappresentante delle élite che avrebbe dovuto controllare, vanificando il suo ruolo di vigilanza.6Guido Castelnuovo, Ufficiali e gentiluomini. La società politica sabauda nel tardo medioevo (Milano: Franco Angeli, 1994).

Mi soffermerò in particolare sul ruolo e sull’operato dei commissari attraverso l’esame sia della documentazione della cancelleria regia sia delle amministrazioni locali. Considererò soprattutto la città di Catania, su cui rimangono significative testimonianze sul tema che qui si esamina. Per quanto riguarda la documentazione del governo catanese, precisamente della curia dei giurati, cioè i principali ufficiali elettivi, va evidenziato che è andata distrutta per un incendio doloso il 14 dicembre del 1944. È possibile avere una conoscenza dei fondi di questo archivio grazie ai regesti e alle trascrizioni di chi ebbe l’opportunità di studiarla; sono particolarmente esaustivi quelli di Matteo Gaudioso, a cui farò riferimento.7Un ulteriore ricerca (che però qui non considero) ricca di trascrizioni e di regesti è quella di Carmine Fontana, Gli Ebrei in Catania nel secolo XV, 1900, ora disponibile on-line: data di consultazione 13 febbraio 2024, http://www3.lex.unict.it/speciale/tesifontana.pdf. Lo studio di Fontana è preceduto da alcuni commenti di Giuseppe Speciale, che ha avuto cura di rendere disponibile questo lavoro e che precisa la data dell’incendio (Giuseppe Speciale, «La comunità ebraica di Catania nei documenti perduti del secolo XV», Archivio Bollettino, 21 giugno 2017).

La scelta cronologica qui adottata non è motivata soltanto dall’aumento già citato dei margini di libertà, ma anche dalla presenza del viceré.8Pietro Corrao, Governare un regno. Potere, società e istituzioni in Sicilia fra Trecento e Quattrocento (Napoli: Liguori, 1991), 158-200: viceregentes furono presenti dal 1413, ovvero dopo l’assunzione della corona di Sicilia da parte di Ferdinando I nel 1412, quindi si sarebbe usato il termine di vicerex con la nomina dell’Infante Juan nel 1415. Il governo delegato precedette di qualche anno il regno di Alfonso V ma si affermò dalla sua incoronazione. Analizzare la fase relativa a questo periodo permette di considerare la coordinazione tra il sovrano e il suo rappresentante in merito al controllo del territorio. Un ulteriore fattore riguarda, come evidenziato da Adelaide Baviera Albanese, un’applicazione sporadica del provvedimento di Alfonso che impose al viceré una visita annuale con la corte per amministrare giustizia.9Adelaide Baviera Albanese, «L’ufficio di Consultore del Viceré nel quadro delle riforme dell’organizzazione giudiziaria del sec. XVI in Sicilia», in Scritti minori (Messina: Rubbettino, 1992), 125-126. Ciò implicò il mantenimento di possibili conferimenti d’incarichi a membri della magna regia curia. Era stato Federico II a stabilire le norme della composizione e del funzionamento di questo tribunale, che avrebbero costituito la base anche in età angioina e aragonese: a presiederlo era il maestro giustiziere, che poteva delegare i suoi poteri a un luogotenente, ed era composta da tre-quattro giudici e da un notaio agli atti.

La riforma regia del 1433, che disciplinò l’assetto istituzionale del tribunale e l’amministrazione della giustizia, lasciò immutato il ruolo del maestro giustiziere e stabilì il numero di giudici in quattro. La corte, inoltre, annoverava l’avvocato del fisco, due procuratori fiscali, il maestro notaio, l’archiviario, i commissari, e, infine, gli ufficiali d’esecuzione quali serventi e algozirii.10Francesco P. Di Blasi, Pragmaticae Sanctiones regni Siciliae (Palermo: Regia typographia, 1791), 1:40-46; Francesco M. Testa, Capitula regni Siciliae (Palermo: Angelo Felicella, 1741), 1:205-213, capp. I-XX, si vedano inoltre le precedenti ordinationes dei viceré Vasquez, Torres e Cardona del 1420 (Testa, Capitula, 1:273-287, capp. CCV-CCLIII); Baviera Albanese, «L’ufficio», 116-118; Beatrice Pasciuta, In regia curia civiliter convenire. Giustizia e città nella Sicilia tardomedievale (Torino: Giappichelli, 2003), 47-48, 204; Beatrice Pasciuta, Placet regie maiestati. Itinerari della normazione nel tardo medioevo siciliano (Torino: Giappichelli, 2005), 158-159. Riguardo ai commissari, abitualmente investiti di un ruolo itinerante e d’ispezione, le loro funzioni poterono essere conferite in via non ordinaria anche ad altri magistrati per missioni specifiche, per esempio agli stessi giudici.11Era, ad esempio, il caso del consiliarius regius Antonio Compagno «legum doctor unus ex iudicibus magne regie curie tamquam commissarius» inviato a Randazzo come commissario per un’indagine; ASP, RC, reg. 72, f. 25r, 27 agosto [1438], I ind. Nel 1441 il regio consigliere Francesco Aricio legum doctor e giudice della magna regia curia si recò a Piazza, con un’ampia potestà conferita dal viceré, in seguito ad atti di resistenza contro un commissario e altri ufficiali; ASP, RC, reg. 76, f. 416r-v, 28 febbraio [1441], IV ind. Sul sistema di ispezione in una fase anteriore, quella angioina, si veda Serena Morelli, «La territorializzazione della politica: competenze, metodi e obiettivi del personale amministrativo addetto alle inchieste», in Quand gouverner c’est enquêter. Les pratiques politiques de l’enquête princière (Occident, XIIIᵉ-XIVᵉ siècles), a cura di Thierry Pécout (Parigi: Editions De Boccard, 2010), 239-256; Serena Morelli, Per conservare la pace. I Giustizieri del regno di Sicilia da Carlo I a Carlo II d’Angiò (Napoli: Liguori, 2012), 75-89. In ambito locale la cognizione dei giudizi di prima istanza era di pertinenza della curia civile e della curia penale, e anche dei giudizi di secondo grado in materia civile in quei centri in cui era presente la curia d’appello; questi tribunali erano subordinati alla regia gran corte in caso d’indagini sul loro operato o su altri ufficiali cittadini.12Inoltre, nel 1434 Alfonso V stabilì l’obbligo degli ufficiali locali di denunciare alla regia gran corte crimini per i quali era prevista la pena capitale, la mutilazione e la deportazione. Testa, Capitula, 1:218, cap. XXIII. Sulla datazione di queste norme cf. Pasciuta, Placet, 160-161.

I SIMBOLI DEL COMANDO

 

Con la già citata riforma del 1433 si stabilì che i commissari dovevano essere cinque,13Testa, Capitula, 1:211, cap. XIV. febun limite nella prassi variabile, e, anche se non sempre è indicata la durata dell’incarico,14ASP, RC, reg. 89, ff. 86v-87r, 2 gennaio [1453], I ind. alcuni conferimenti da parte del sovrano o del viceré specificano che la nomina era a vita.15Come indicato nella nomina regia del notarius Antonio Pesce civis di Catania, che il sovrano in deroga ai privilegi nominò come sesto commissario; ASP, PR, reg. 34, f. 30v, 17 settembre 1436, XV ind. Per un’altra nomina a vita: Giovanni Auchello alias Vibona di Messina, ASP, PR, reg. 45, f. 203v, 29 marzo [1454], II ind. L’investitura seguiva il giuramento di fedeltà, su cui i dati sono limitati e frammentari. Risulta menzionata nella concessione da parte del viceré Lop Ximen d’Urrea a Ugueto Milacio: «recepto prius a vobis fidelitatis de id officium bene et legaliter exercendo corporali et debito iuramento».16ASP, RC, reg. 89, ff. 86v-87r, 2 gennaio [1453], I ind.; si veda anche la nomina di Marco Calogero: ASP, RC, reg. 89, ff. 102v-103r, 19 dicembre [1453], I ind. Il riferimento al giuramento poteva specificare un carattere sacro dello stesso: «ad sancta Dei quatuor evangelia iuramento».17ASP, PR, reg. 34, f. 30v, 17 settembre 1436, XV ind.

I commissari erano in maggioranza o notarii o legum doctores. È ravvisabile un ricorso alla concessione della carica per consolidare rapporti di fedeltà come risultato della mediazione di personaggi vicini al sovrano che vivevano una condizione privilegiata, questo era il caso dei familiares et domestici regis.18Alcuni esempi di commissari attivi durante il regno di Alfonso V: Antonio Canchillerio, ASP, PR, reg. 24, f. 221r-v, 10 maggio 1425, III ind. Notarius Andrea Ravello, ASP, PR, reg. 33, ff. 120r-121r, 10 maggio [1433], XI ind. Adamo Asmundo legum doctor, ASP, RC, reg. 72, ff. 26v-28r, 31 agosto [1438], I ind. Consiliarius regius Gualterio Paternò legum doctor, ASP, RC, reg. 72, ff. 84v-85r, 4 luglio 1438, I ind. Consiliarius regius Antonio Gallina, ASP, RC, reg. 75, f. 131v, 28 settembre [1439], III ind. Notarius Gaspare Fontana e notarius Bernardo Barbarino, ASP, RC, reg. 75, ff. 204v-205r, 26 novembre [1439], III ind. Antonio Mithaletto legum doctor, ASP, RC, reg. 78, ff. 171r-172r, 28 febbraio [1442], V ind. Nobilis vir Orlando Traversa di Palermo (a differenza degli altri casi si specifica commissario ordinario della magna regia curia), ACA, RC, reg. 2860, ff. 152v-153v, 5 aprile 1448, XI ind. Notarius Giovanni Blundo, nominato per intercessione di «familiares et domestici», rimpiazza quondam Vinuto Aurifiche, ASP, PR, reg. 42, ff. 105v-106r, 16 luglio [1450], XII ind. Melchior La Ripa legum doctor, ASP, RC, reg. 84, 106r-v, 11 novembre [1450], XIV ind. Notarius Matteo Massaro, ASP, RC, reg. 84, ff. 110v-112v, 15 novembre [1450], XIV ind. Notarius Ugueto Milacio, nominato per intercessione di «familiares et domestici», ASP, RC, reg. 89, ff. 86v-87r, 2 gennaio [1453], I ind. Marco Calogero, nominato per intercessione di «familiares et domestici», ASP, RC, reg. 89, ff. 102v-103r, 19 dicembre [1453], I ind. Enrico Crispo legum doctor, ACA, RC, reg. 2874, ff. 17v-18v, 8 ottobre 1454, III ind. Giovanni Auchello alias Vibona di Messina, nominato per intercessione di «familiares et domestici», ASP, PR, reg. 45, f. 203v, 29 marzo [1454], II ind. Notarius Filippo Scolaribus, per intercessione di «familiares et domestici», ASP, PR, reg. 45, f. 625v, 20 novembre 145(4), II ind. Equilibri simili sono riscontrabili in altre realtà: secondo la cronaca del re di Castiglia Enrico IV (1454-1474) il sovrano generalizzò il conferimento dell’ufficio di corregidor, magistrato dalle ampie prerogative di controllo del territorio, per usarlo come strumento per ricompensare favori.19Agustín Bermúdez Aznar, El Corregidor en Castilla durante la baja edad media (1348-1474) (Murcia: Editum, 1974).

Le fonti sono avare anche sul simbolismo che caratterizzò l’esercizio dell’incarico. Tuttavia, è possibile proporre una lettura comparativa in base a dati che, nonostante non riguardino i commissari, è ipotizzabile che non si discostino in modo significativo da quello che caratterizzò la nomina di questi funzionari. Farò riferimento a un ufficiale regio cittadino, il capitano, e agli algozirii, magistrati di derivazione catalana. La normativa indica che questi ultimi avevano giurisdizione penale su forestieri e sui regnicoli che si trovavano presso la magna regia curia per risolvere una controversia.20Luigi Genuardi, «Diritto pubblico spagnolo in Sicilia», Rivista di Storia del Diritto italiano 6 (1933): 85; Pasciuta, Placet, 268-269. Devo, però, evidenziare che i riferimenti da me riscontrati rivelano invariabilmente funzioni repressive, su cui a breve dirò.

Come ho indicato, era frequente l’alienazione della carica regia di capitano, una strategia che assicurò introiti alle reali casse senza che il sovrano o il viceré perdessero influenza nella gestione della magistratura.21Fabrizio Titone, «Aragonese Sicily as a Model of Late Medieval State Building», Viator 44 (2013): 217-249. Nel settembre del 1442 il giudice del tribunale centrale Bernardo/Bernat Pinos stabilì che Villanova Villanova era il legittimo detentore a Randazzo, perché aveva acquistato la magistratura per la sesta indizione (primo settembre 1442 - 31 agosto 1443). Richiese che il capitano uscente lasciasse l’ufficio realizzando il passaggio della verga ut moris est al Villanova, formalizzando così sia la cessione della carica sia la nuova investitura.22ASP, RC, reg. 80. f. 103r. Questo conferimento fu un aspetto ordinario dell’esercizio di governo e le comunità non percepirono il ruolo del capitano come limitativo delle loro autonomie. Era, infatti, una magistratura rigorosamente delimitata nelle sue prerogative; è raro riscontrare, a differenza della fine del Trecento, lamentele per sue ingerenze a danno degli altri ufficiali.

A livello locale era diversa la percezione degli algozirii, che intervenivano frequentemente in casi di conflittualità politica e di episodi di resistenza. L’11 novembre del 1451 il viceré Lop Ximen d’Urrea procedette in merito a un’aggressione avvenuta a Palermo ai danni dell’«algozirius nobilis missere» Sans la Maurella, mentre, come il viceré evidenziò, stava esercitando il suo ufficio.23ASP, RC, reg. 84, ff. 108r-109r, 11 novembre 1451, XIV ind. Antonio Starranu di Palermo era accusato di resistenza, d’insulto e d’offesa. Un atto che probabilmente seguì un rifiuto a un ordine dell’ufficiale e che immediatamente assunse un carattere violento ed emblematico. Starranu lo aggredì con un coltello; ruppe o tolse il bastone dell’ufficio che l’algozirius teneva in mano e lo ferì al volto («tirandu ad ipsum misser Sans cultillati taglanduli —che si può leggere nel senso di ‘rompere o di togliere’— lu bastuni dilu officiu in la manu et danduli et fachenduli sangui et signali in la fachi»).24Di Starranu è noto che possedeva oltre a una casa, alcune vigne, 60 vasselli (arnie) di api, quattro buoi e una giumenta. Starranu scappò e venne bandito, la sua casa fu abbattuta e bruciata. Nella casa di Starranu si trovarono dei beni di Lucia, figlia di Bartolomeo Caruso e moglie di mastru Giacomo Bonfanti, inavvertitamente bruciati nell’azione punitiva. Quindi, come forma di compensazione, beni dello Starranu presi dalla regia corte furono dati a Giacomo Bonfanti in qualità di marito e legittimo amministratore di Lucia. ASP, RC, reg. 84, ff. 108v-109r. Non è breve lo scarto temporale tra questo episodio e il tumulto del populus, che si era registrato l’anno precedente nei mesi di aprile e di maggio del 1450 a Palermo.25Fabrizio Titone, «Il tumulto popularis del 1450: conflitto politico e società urbana a Palermo», Archivio Storico Italiano 163 (2005): 62-83. Va però evidenziato che ancora nei mesi di febbraio-aprile del 1451 si discuteva sulla tassazione per realizzare la composizione pecuniaria con il sovrano, è quindi possibile che ancora in quella fase seguissero azioni di controllo e che fossero una fonte di frustrazione nella popolazione.26ACP, AS, cassetta 34, ff. 74r-75r, 21 febbraio 1451, XIV ind. Ancora in aprile si discusse su come reperire la somma necessaria; ACP, CC, reg. 61/1, f. 179r-v, 1 aprile; nel mese di maggio la somma risulta conseguita; reg. 61/1, ff. 182r-183r, 26 maggio; in entrambi casi l’anno è il 1451. L’aggressione rivela efficacemente il rifiuto di un’estensione dell’esercizio di potere, in questo caso per iniziativa del viceré, probabilmente ritenuta dallo Starranu illegittima perché si sovraimpose all’autorità del capitano. L’attacco si diresse non solo contro la persona ma anche contro il simbolo del suo ruolo e contro chi lo aveva conferito. Non era un caso isolato. Pochi anni dopo a Sciacca durante un tumulto i rivoltosi abbatterono e lanciarono fuori dalla comunità le forche fatte erigere, in seguito ad un atto di resistenza, per ordine del commissario e algozirius Giovanni Santo Clemente.27A Sciacca la scelta della comunità di non consentire un’esportazione di frumento, nonostante la mediazione del presidente del regno (cioè il supplente del viceré), indusse quest’ultimo a inviare in qualità di commissario il nobilis Giovanni Santo Clemente miles e algozirius stabilendo che come primo atto avrebbe eretto le forche nella piazza; ASP, PR, reg. 48, ff. 46v-47r, 15 ottobre [1455], IV ind. (si specifica l’incarico di commissario in ASP, PR, reg. 48, ff. 360v-361r, 22 giugno 1456, IV ind.). Ciò inasprì il confronto che portò all’abbattimento delle forche. Quindi il viceré Lop Ximen d’Urrea decise d’inviare il notarius Lemmo Bracco, uno dei commissari della regia gran corte, per processare, in collaborazione con il capitano e il suo giudice, i colpevoli; ASP, PR, reg. 48, f. 134r-v, 2 gennaio [1456], IV ind. Il viceré avrebbe successivamente perdonato chi coinvolto accettando la giustificazione che avevano ostacolato l’esportazione temendo una penuria di frumento; ASP, PR, reg. 48, ff. 360v-361r, 22 giugno 1456, IV ind. Nei periodi di vacanza della carica del viceré, il presidente del regno, di solito un siciliano, era responsabile dell’ordinaria amministrazione. Rinvio a Bresc, Un monde, 860; Pasciuta, Placet, 161.

Sull’ostentazione dell’emblema repressivo del bastone ricordo, per una fase più tarda, i censori istituiti a fine Cinquecento a Palermo, sul modello castigliano dal viceré Diego Enrique y Guzman conte di Alvadeliste: «andavano con un bastone dorato in mano, di 4 palmi di lunghezza e di grossezza di un braccio […] ed aviano 4 algozini per loro, e pigliavano tutti li vagabondi».28Giuseppe Giarrizzo, «La Sicilia dal Cinquecento all’unità d’Italia», in Storia d’Italia, vol. 16, La Sicilia dal Vespro all’Unità d’Italia, a cura di Giuseppe Galasso (Torino: Utet, 1989), 243.

LE NEGOZIAZIONI SUL RUOLO DEI COMMISSARI

 

Non è infrequente imbattersi in documentazione relativa a denunce dell’operato dei commissari accusati di arbitrii, così come a richieste per limitarne i poteri, come accadde ad esempio in parlamento a partire dal regno di Martino I a fine Trecento, sino a Ferdinando II nei primi del Cinquecento.29Baviera Albanese, «L’ufficio», 125-126. A livello locale i dibatti dei consigli cittadini e i provvedimenti amministrativi erano a volte espressione di tensioni causate dalla loro presenza.30Per altri contesti, con riferimento a funzionari con simili prerogative, cf. Alexandra Beauchamp, «Contra injurias, violencias, corrumpciones sordidas, fraudes enormes, extorsiones illicitas… enquêtes générales et contrôle des officiers royaux dans la Couronne d’Aragon des années 1340». In Quand gouverner c’est enquêter. Les pratiques politiques de l’enquête princière (Occident, XIIIᵉ-XIVᵉ siècles), a cura di Thierry Pécout (Parigi: Editions De Boccard, 2010), 227-230. Fare riferimento alle denunce contro i commissari, che, ma questo va da sé, potevano anche essere motivate in difesa della violazione di condizioni privilegiate,31Pietro Corrao, «Gli ufficiali del regno di Sicilia nel Quattrocento», Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa 4 (1997): 324. potrebbe dare un’immagine riduttiva del loro operato e delle reazioni nelle comunità, le quali a volte ne auspicavano la presenza. Tra l’altro il commissario poteva essere deciso dalle due parti su cui avrebbe dovuto arbitrare; infine il suo intervento non era sistematicamente invasivo ma di supervisione, come nell’espletamento delle procedure elettorali. In proposito il viceré Nicola Speciale stabilì una dettagliata regula, con deliberazione del [sacro] regio consiglio, su cui più avanti tornerò, sul ruolo di questo funzionario per la realizzazione delle elezioni del 1423-1424 e quindi per quelle degli anni successivi.32ASP, PR, reg. 25, ff. 168v-169r, 9 luglio 1423, I ind. Cf. Ennio I. Mineo, «Gli Speciale. Nicola viceré e l'affermazione politica della famiglia», Archivio Storico della Sicilia Orientale 79 (1983): 287-371.

Le negoziazioni promesse nel 1434 dalla città di Catania offrono elementi d’approfondimento. Gli ambasciatori, il dominus Giacomo Gravina e il nobilis Blasco Santo Angelo, legum doctores, si recarono presso il re, che si trovava a Palermo, per rendere noti i risultati delle elezioni. Contestualmente presentarono delle petizioni su temi ben distinti in merito alla colletta, alle prerogative del governo locale per ambiti differenti (ebrei, casi d’adulterio), all’approvvigionamento cittadino, all’operato dei giurati, all’istituzione dello studio generale, al divieto di vendita dell’ufficio di capitano. Non erano gli unici aspetti considerati.33ASCC, AG, vol. 3, ff. 13v-15r, 19 ottobre 1434, XIII ind. Si noti che queste petizioni non sono riportate in Salvatore Giambruno e Luigi Genuardi, Capitoli inediti delle città demaniali di Sicilia (Palermo: Scuola Tip. Boccone del Povero, 1918), si vedano 147-155. Inoltre, Gravina e Santo Angelo misero in luce una preoccupazione diffusa tra le amministrazioni che beneficiavano di privilegi di particolare rilievo: la necessità di salvaguardarli. Uno dei rischi maggiormente paventati era di non denunciare casi di violazione e che quindi un precedente, passato sotto silenzio, potesse dar vita a un consolidamento d’interventi lesivi delle concessioni. Per questa ragione gli ambasciatori chiesero che, nel caso di lettere del re o della regia gran corte contro i diritti della città, questa potesse appellarsi al sovrano e, nel caso di una reiterazione del provvedimento da parte del re, che si potesse reclamare una seconda e una terza volta perché fossero competenti a giudicare i giudici della curia civile (a Catania la curia del patrizio e il patrizio ne era al vertice), del capitano, della corte d’appello. La petizione era accolta, posto che si consultasse il re.34Questa richiesta va collegata al privilegio che i cittadini catanesi dovevano essere giudicati a Catania. Questo è un aspetto esplicitato nel 1443, quando, nelle petizioni presentate al viceré Ximen d’Urrea, si specifica che il privilegio non doveva considerarsi interrotto se nel passato cittadini di Catania erano stati giudicati al di fuori. Giambruno e Genuardi, Capitoli, 156-157, 28 dicembre 1443, VII ind.

Ciò non indica la volontà di dare vita a uno stato di tensione con Alfonso V, al quale invece si chiese che risiedesse in città, e il re promise di visitarla e di dimorarvi per un periodo. Inoltre, gli ambasciatori auspicarono, senza ottenerlo, che la magna regia curia (si aggiunge ordinaria) potesse stabilirsi per la maggior parte del tempo a Catania. Invece, sul commissario la proposta fu che non vi tenesse corte, ma il re confermò quanto stabilito nel 1433 cioè che si attenesse unicamente al suo mandato.35Alfonso V anche in un’altra occasione avrebbe fatto riferimento a quanto stabilito nel 1433; Giambruno e Genuardi, Capitoli, 171-172, 14 marzo 1444, VII ind.

Non era consequenziale ottenere un limite d’intervento, come risulta da una lettera-denuncia avanzata sempre dalla stessa città pochi anni dopo, nel 1438, al viceré in merito al maestro razionale, preposto all’attività di controllo in ambito finanziario, Adamo Asmundo, legum doctor, presente in qualità di «sindicu et commissariu» con il figlio nobilis Federico.36ASCC, AG, vol. 7, ff. 1r-2r, 12 ottobre 1438, II ind. Sui maestri razionali cf. Adelaide Baviera Albanese, «L’istituzione dell’ufficio di conservatore del real patrimonio e gli organi finanziari del regno di Sicilia nel sec. XV (contributo alla storia delle magistrature siciliane)», in Scritti minori (Messina: Rubbettino, 1992), 75-96; Alessandro Silvestri, L’amministrazione del regno di Sicilia. Cancelleria, apparati finanziari e strumenti di governo nel tardo Medioevo (Roma: Viella, 2018), 205-208, 256-257, 386. L’incarico conferito ad Asmundo riguardava l’intero Val di Noto (la parte centro e sud orientale dell’isola) e in particolare la comunità catanese. In quest’ultima avrebbe dovuto occuparsi degli aspetti relativi alla colletta per la conquista di Napoli, del processo intentato dal vicario del vescovo contro gli ufficiali e alcuni nobili, e dirimere controversie in ambito civile e penale.37ASCC, AG, vol. 7, f. 6v. Per un altro caso d’invio di un commissario per conseguire la sovvenzione richiesta dal sovrano si veda ASP, RC, reg. 78, ff. 171r-172r, 28 febbraio [1442], V ind. Sull’attribuzione a commissari d’incarichi per raccogliere redditi richiesti dal sovrano alcuni esempi in Alessandro Silvestri, «Pagari certa quantitati secundu la taxa. La strategia fiscale di Alfonso il Magnanimo in Sicilia, Niccolò Piccinino e la conquista di Napoli (1441-1442)», Studia Historica. Storia Medieval 40, n.º 2 (2022): 90-91, 93, 97, 106-109. Delle serie documentarie indicate dall’autore (nella lista delle abbreviazioni) non vi è però traccia nello studio di quelle del Protonotaro del Regno e della Real Cancelleria. Rispetto all’area di competenza di d’Asmundo, ricordo che dall’età musulmana il territorio isolano era generalmente identificato attraverso una tripartizione tra Val di Mazara (la parte occidentale), Val Demone (corrispondente a quella centro e nord occidentale) e Val di Noto. Asmundo operò in ambito temporale e spirituale in forza di un mandato che gli aveva attribuito ampi poteri. Tali prerogative, come indicato nella querela, erano però in deroga ai privilegi cittadini, secondo cui il commissario poteva agire solo in «aliquibus arduis factis», che rimanevano non specificati; a breve ritornerò su questo tema. Inoltre, invece di sindacare gli ufficiali per i quindici giorni previsti, padre e figlio andarono oltre questo limite temporale e ascoltarono «nuove cause», sostenendo di non essere né sindaci né commissari ma regi vicari.

Proprio queste ampie facoltà diedero vita a una ferma reazione per il timore del ripetersi in futuro di un simile scenario di deroga ai privilegi. Per cui si chiese che non usassero più la commissione e ciò, si sottolineava, non aveva come fine quello d’evitare il sindacato sugli ufficiali sui quali, ad ogni modo, non era stata avanzata alcuna querela. Era compito del legum doctor Gualtierio Paternò comunicare al viceré che, se altri commissari avessero agito con simili poteri, si sarebbe potuto disattendere le loro decisioni.38ASCC, AG, vol. 7, ff. 1v-2r. Quindi, il viceré Ruggero Paruta stabilì che i privilegi dovessero ritenersi salvi e che la commissione di Adamo Asmundo andasse intesa come non realizzata.39ASCC, AG, vol. 7, f. 2v, 23 novembre.

Credo che l’apertura di Ruggero Paruta vada collegata alla seduta parlamentare, che si sarebbe riunita a Palermo nei mesi seguenti, e alla necessità di risolvere un rischioso stato di tensione. Per l’appunto pochi mesi dopo l’invito del viceré a intervenire al parlamento, nel febbraio del 1439 la città di Catania inviò come propri rappresentanti Blasco Santo Angelo legum doctor e Antonio Paternò, affidando loro un memoriale.40ASCC, AG, vol. 7, ff. 2v-3r, 18 febbraio 1438/1439, II ind. L’indicazione di una riunione parlamentare nel 1439 è di particolare interesse, non corrispondendo a quanto noto e cioè che la prima assemblea nel regno di Alfonso V si tenne nel 1446.41Testa, Capitula, 1:333-358, capp. CCCLVII-CDVII. Cf., tra gli altri, Vincenzo D’Alessandro, «Sulle assemblee parlamentari della Sicilia medievale», Archivio Storico per la Sicilia orientale 80 (1984): 11-12; Pasciuta, Placet, 208. In merito alla riunione del parlamento del 1439 e alle negoziazioni parallele mi permetto di rinviare a Fabrizio Titone, «Alcune osservazioni sul parlamento in Sicilia: l’assemblea del 1439», in La veu del Regne. Representació política, recursos públics i construcción de l’Estat. 600 anys de la Generalitat Valenciana, a cura di Antoni Furió (Valencia: Universitat de València, in stampa). Gli ambasciatori ottennero il placet a una serie di petizioni, anche grazie a un’abile strategia: sostenere inizialmente l’impossibilità per la città di contribuire alla richiesta di sovvenzione regia, che di norma accompagnava l’accoglimento di quanto presentato dal parlamento.

In aprile del 1439 Ruggero Paruta (che confermò di non esimere Catania dal pagamento)42ASCC, AG, vol. 7, f. 5v. approvò buona parte delle domande, tra queste che il commissario non fosse di Catania e che potesse intervenire solo per le «cause ardue» cioè crimini d’eresia, di lesa maestà, di nefando (posto che per ciascuno si sarebbe deciso caso per caso). Accettò inoltre che i provvedimenti del re, del viceré, della regia gran corte contrari ai privilegi concessi a Catania potessero essere respinti sino a due volte.43ASCC, AG, vol. 7, ff. 3r-5r, 1 aprile 1439, II ind. Gaudioso specifica, in f. 4r, che due petizioni, sui commissari e sul diritto di replica, furono approvate a parte il 15 aprile. Le petizioni del 1439 risultano con poche differenze (e tra queste non si indicano i nomi degli ambasciatori) negli atti della Real Cancelleria trascritti in Giambruno e Genuardi, Capitoli, 160-164, 1 aprile 1439, II ind.; 165-166, 15 aprile 1439, II ind.

Attraverso ulteriori negoziazioni, sempre realizzate in aprile, in questo caso dagli ambasciatori Antonio Castello e Gualtiero Paternò, la comunità conseguì l’annullamento del processo per le denunce del vicario spirituale contro gli ufficiali e alcuni nobili, assicurando il pagamento richiesto in contraccambio.44ASCC, AG, vol. 7, ff. 5r-6r, 8 aprile 1439, II ind. Si veda anche f. 6v. Dunque, il confronto apertosi nel contesto della seduta parlamentare offrì importanti margini di negoziazione, che avevano nei limiti d’intervento del funzionario regio uno dei punti centrali. I frequenti confronti sul potere conferito a quest’ultimo indicano come potesse divenire una fonte di scambio, un’opportunità per la comunità per rimarcare la propria autonomia e per il viceré per sbloccare situazioni di stallo e ottenere compensazioni economiche. Come indicato, si cercò di limitare le sue prerogative alle cause ardue, la cui definizione così come l’inclusione di altri ambiti potevano variare in base alle negoziazioni. Nel 1448 in una petizione al sovrano, la comunità di Trapani dichiarò che, pur avendo ottenuto un privilegio che garantiva la presenza del commissario solo per le cause ardue (secondo Trapani: «de crimine lese maiestatis, heresis, feudis quaternatis et quota eorum partem», negli appelli). L’interpretazione che i giudici della Gran Corte diedero di esse però era diversa: riguardavano tutti i casi che comportavano la relegazione. Il sovrano diede il placet, ma oltre a quanto citato nella petizione aggiunse quelle di «nephandi criminis et false monete et eciam causas magni tumultus et sedicionis in populo».45«Item supplica la dicta universita da che essa have obtenuto privilegio dila dicta Regia Maiesta che in la dicta terra non digia venire commissario sindu in causis arduis credendo intendere si le dicte cause secundo la sua supplicacione in crimine lese maiestatis, heresis, in feudis quaternatis seu parte ipsorum et in causa appellacionis et li iudici de la Gran Corte lo volino interpetrare le dicte cause ardue in omne delicto che sia a relegacione, suppl[ica] sia vestra (interesse) de volere declarare lo dicto privilegio havere loco in le dicte cause superius expressatis zo e de crimine lese maiestatis, heresis, feudis quaternatis et quota eorum partem ita quod in certis aliis causis sive delictis stet dictum privilegium quod commissarius venire non possit. Placet regie maiestati quod dictum privilegium servetur ultra dictas causas et causas nephandi criminis et false monete et eciam causas magni tumultus et sedicionis in populo non possit accedere commissarius ad dictam terram sub quocumque nomine nuncupetur». ACA, RC, reg. 2858, ff. 152v-153r, 29 dicembre 1448, XI ind.

Per tornare a Catania e alle petizioni del 1439, si denunciò la tendenza del funzionario regio, per le ampie facoltà che esercitava, a ritenere di potere conoscere ogni caso. Questo ed altri arbitrii, tra cui non permettere l’appello alle sue sentenze, sono alla base delle petizioni nel 1439 e nel 1444 per consentirgli l’accesso solo per il crimine di lesa maestà e per sindacare ma con alcune restrizioni. Inoltre, nel 1439, si propose che i commissari non dovessero essere cittadini catanesi: Ruggero Paruta accolse la richiesta.46Giambruno e Genuardi, Capitoli, 165, 15 aprile 1439, II ind. (in questo caso in Giambruno e Genuardi risultano informazioni non presenti nella trascrizione di Gaudioso, vol. 7, f. 3v), così rispondeva il viceré: «quod conmissarii cives non possint ad dictam civitatem ad sindicandum accedere, nec etiam quo ad facta concernent iusticiam, super aliis respondet responsum esse super aliis capitulis pridie eidem domino viceregi presentatis». Mentre, nel 1444, alla proposta che essi potessero indagare solo magistrati cittadini regi, il viceré Ximen d’Urrea rispose che potevano conoscere le cause ordinarie limitatamente al mandato ricevuto e il loro verdetto sarebbe stato appellabile.47Giambruno e Genuardi, Capitoli, 171-172, 14 marzo 1444, VII ind. Non è un caso isolato la proposta di circoscrivere il ruolo commissariale alla lesa maestà. Avevano già avanzato petizioni in tal senso le comunità di Messina, che parrebbe avesse ottenuto questo privilegio per una fase limitata, e quindi di Palermo nel 1441: che però si vide respinta la petizione in ragione degli abusi seguiti a questa concessione a favore di Messina.48ACA, RC, reg. 2838, f. 127r-v, 30 settembre 1441, V ind.

Evidentemente più fattori poterono determinare la decisione d’inviare il funzionario, come sembrerebbe fosse stato per il contesto catanese tra gli anni Trenta e Quaranta. Da un lato era necessaria la sua presenza per superare una fase complessa rispetto alla colletta per la conquista di Napoli (Alfonso entrò in città il 2 giugno 1442), ma il suo operato rivela anche una stretta connessione con un duro confronto politico interno. Non si trattava solo dell’aperta contrapposizione degli anni Trenta già ricordata tra il vescovato e settori della comunità. Mi riferisco alla scelta del sovrano di procedere alla vendita dell’ufficio di capitano: nel 1439 la città denunciò che, pur avendolo riscattato e avendo ottenuto il divieto d’alienazione, il re l’aveva comunque venduto.49ASCC, AG, vol. 7, f. 4r. Inoltre, faccio riferimento a querele nel 1444 su abusi con particolare riferimento alla creazione di ufficiali in difformità dai privilegi cittadini, causa di odii et divisioni, e all’operato di magistrati che consentivano deroghe ai privilegi.50Giambruno e Genuardi, Capitoli, 166-176, in particolare si vedano 172-173, 14 marzo 1444, VII ind. In quegli stessi anni, come ho indicato, si chiese con vigore un limite al ruolo del commissario, la cui presenza in città va evidentemente correlata ai conflitti in corso, a tensioni con il sovrano, anche a una possibile pressione di parti cittadine a suo favore.

La relazione tra una petizione per un suo intervento e gravi tensioni interne è esplicitamente richiamata nel giugno del 1450, quando Catania, in controtendenza rispetto agli anni precedenti, propose la sua presenza per risolvere i contrasti politici. Era stato indicato il nome di Blasco Barresi —vale la pena evidenziare che la città poteva suggerire chi nominare— ma ciò entrò in contrasto con i privilegi cittadini, che escludevano il conferimento della carica a un cittadino; per cui si precisò che questa nomina non avrebbe comportato alcuna deroga in futuro.51ASCC, AG, vol. 12, f. 7r, 2(3) giugno 1450, XIII ind.

ATTIVITÀ DI CONTROLLO SUI MAGISTRATI LOCALI

 

Tra le finalità dei preposti alle ispezioni rientrarono le indagini su magistrati locali affidate in maggioranza a ufficiali provenienti dalla regia gran corte, che erano prevalentemente siciliani già dal principio del regno di Alfonso V, come nel caso degli avvocati e dei commissari. Questi equilibri furono il risultato di un’evoluzione graduale. A partire dal regno di Martino I divenne più forte la pressione in tal senso, di cui si ha una celebre testimonianza nel parlamento di Siracusa del 1398. Si chiese che: «officiales tam perpetui quam annales qui habebunt iurisdictionem practicam seu conversationem gentium sint et esse debeant siculi qui conognoscant homines et sciant qualitates et cognitionem locorum et gentium: quoniam siculi siculis, cathalani cathalanis magis conveniunt».52Testa, Capitula, 1:141, cap. VII. Nonostante il placet di Martino I non seguì un’esclusione sistematica d’iberici,53Genuardi, «Diritto», 56-59; Bresc, Un monde, 839. piuttosto una crescita sempre più significativa di esponenti locali anche se con rilevanti eccezioni.54Mi riferisco per il regno di Alfonso V, per esempio, alla carica di viceré e, a un livello inferiore, a quella di algozirus; si veda Bresc, Un monde, 762, 765. Bresc identifica 17 viceré nel regno di Alfonso V di cui 12 iberici e cinque siciliani. In contrapposizione si consideri il caso della Savoia in cui «la scarsa importazione di personale straniero negli apparati centrali trova riscontro nell’amministrazione territoriale»; Castelnuovo, Ufficiali, 246.

Ancora nel 1446 il parlamento ottenne che in maggioranza gli ufficiali fossero siciliani o residenti nel regno.55Testa, Capitula, 1:347, cap. CCCLXXXVI, nella petizione si incluse l’eccezione del viceré e del conservatore (preposto al controllo del bilancio) e il sovrano nel suo placet stabilì ulteriori eccezioni tra cui per la carica di castellano. Baviera Albanese, «L’istituzione», 3-31; Silvestri, L’amministrazione, 174-191. Sempre nel 1446 si stabilì che i giudici dovessero essere un palermitano, un messinese, un catanese e il quarto da uno degli altri luoghi dell’isola («delo regno»).56Testa, Capitula, 1:340-341, cap. CCCLXVI. Baviera Albanese, «L’ufficio», 117-118, indica che il quarto giudice sarebbe stato scelto alternativamente da uno dei valli del regno, va precisato che nel provvedimento regio del 1446 non si specifica questa alternanza e neanche negli ulteriori provvedimenti citati dalla Baviera Albanese. La novità consistette nell’equilibrio di rappresentanza tra Palermo, Messina e Catania più che nell’origine siciliana, già riscontrabile anche per i giudici negli anni precedenti.57Come nel caso di giudici messinesi, ACA, RC, reg. 2827, f. 166v, 21 gennaio 1436. Anche il giurista catalano Bernardo Pinos, frequentemente coinvolto in indagini di questo tipo, penetrò, come nota Henri Bresc, il milieu siciliano divenendo cittadino di Siracusa.58Bresc, Un monde, 765. Nel 1398 la petizione trovò giustificazione nel fatto che i siciliani, sapendo del contesto in cui operavano, potessero comunicare più efficacemente a differenza dei catalani; risulta però, con riferimento al primo aspetto, improbabile immaginare una familiarità con il luogo e con le persone nel caso di magistrati inviati spesso in zone differenti.

Per l’ufficiale era necessario avere in tempi brevi una chiara cognizione delle cause in corso e degli equilibri di potere. Posto che, almeno con riferimento ai commissari, erano in prevalenza siciliani; nelle indagini si avvalevano di un notaio (con cui si recavano in missione) preposto alla registrazione degli atti.59ACA, RC, reg. 2874, ff. 17v-18v, 8 ottobre 1454, III ind. È, inoltre, chiaramente identificabile un coinvolgimento degli ufficiali locali che avrebbero dovuto assistere il commissario e/o sindacatore nell’esercizio delle loro funzioni. Il sindacatore, una volta giunto nella comunità e fatto realizzare il bando, ascoltava le querele sui magistrati cittadini che avrebbe processato. Era possibile presentare denunce entro 15 giorni, non mancavano variazioni sino a un mese come a Palermo.60ACA, RC, reg. 2838, f. 128v, 30 settembre 1441, V ind. L’incarico seguiva il completamento del mandato degli ufficiali locali, che durante l’indagine avrebbero dovuto «obbedirgli ed assisterlo».61ASP, RC, reg. 84, ff. 94v-95r, 28 ottobre [1450], XIV ind. (Piazza e Nicosia). Cf. Alexandra Beauchamp, «Purga de taula and Other Procedures of Royal Officers’ Accountability in the Medieval Crown of Aragon (Fourteenth-Century)», in The Officer and the People: Accountability and Authority in Pre-Modern Europe, a cura di María Ángeles Martín Romera e Hannes Ziegler (New York: Oxford University Press, 2021), 133-152. Costituisce un caso non comune il conferimento nell’agosto del 1440 al consiliarius regius Antonio di Pietro Galganis legum doctor di Siracusa, di sindacare gli ufficiali di Noto, di Piazza e di Caltagirone della quarta indizione e per le seguenti tre indizioni. Ricevette «piena potestà» su ogni causa civile e criminale; avrebbe scelto un sostituto se nel corso di questo periodo non avesse potuto recarsi nei luoghi stabiliti.62ASP, RC, reg. 76, ff. 82r-83v, 6 settembre 1440, IV ind.

Di solito i crimini perseguiti relativi a ufficiali così come a privati sono indicati in termini generici, quando si specificano rientrano tensioni tra soggetti/parti, usura, gestioni illegittime dell’incarico, ingiustizie, mancato compimento di direttive e di pene regie, in generale casi di resistenza.63Ad esempio ASP, RC, reg. 76, f. 416r-v, 28 febbraio [1441], IV ind.: il barone di Convicino, e altre persone non specificate della comunità di Piazza, erano accusate d’inadempimento delle pene regie («minisprezandu li peni ki per parti regali su stati misi») e di resistenza armata sia al commissario sia ad altri ufficiali.

L’indagine in merito sull’operato dei magistrati, a conclusione del loro mandato, in ambito penale e civile corrispondeva a un aspetto ordinario del sistema di controllo.64Come risulta ad esempio già in età angioina; si veda Morelli, «La territorializzazione», 248. In casi non ordinari invece, il funzionario regio interveniva durante il loro mandato e indagava anche sull’operato dei quanti erano stati in carica in anni precedenti. L’attribuzione d’incarichi di questo tipo offre informazioni più esaustive sulle modalità investigative e sui poteri conferiti. In proposito un buon esempio è quello, nel 1441, del consiliarius regius Giovanni Taranto «legum doctor et unus ex advocatis magne regie curie», che in qualità di sindacatore, ebbe il compito di recarsi a Polizzi, in quella fase dominio di Raimondo Cabrera. Cabrera avrebbe potuto procedere autonomamente ma, dovendo recarsi in quella fase in altri luoghi per servizi regi, concordò con il viceré che si mandasse un ufficiale, purché ciò non costituisse una modifica in futuro ai suoi privilegi sulla comunità.65ASP, RC, reg. 76, ff. 588v-589v, 4 agosto [1441], IV ind. In merito ai multi excessi che si erano compiuti, Giovanni Taranto dovette indagare sugli ufficiali in carica, che durante l’inchiesta, come era prassi, sarebbero stati sospesi dal loro incarico, e su quelli anteriori e su eventuali altri responsabili del luogo.66Sulla sospensione dei magistrati dai loro uffici durante le indagini, ricordo che era una prassi comune anche in altre realtà, come in Castiglia, quando il corregidor si recava nella comunità, gli alcaldes e l’alguacil, ufficiali cittadini, gli consegnavano i bastoni di comando (varas). A sua volta il corregidor dava il bastone di comando agli alcaldes e l’alguacil da lui nominati. Rinvio a Bermúdez Aznar, El Corregidor, 141-142, 218. Il suo mandato avrebbe riguardato cause criminali, fiscali, così come qualsiasi altro crimine. Il viceré Raimondo Perollos evidenziò che i magistrati cittadini dovevano obbedirgli «come alla nostra propria persona». Ascoltate le parti coinvolte, doveva procedere per inquisizione contro i crimini d’usura e avrebbe fatto ricorso, ove fosse stato necessario, alla tortura e si aggiunge che, se necessario, avrebbe inflitto l’ultimo supplizio («affligenduli ultimo supplicio»).

Pochi anni prima, nel 1438, per le indagini da realizzare a Randazzo, l’amplissima potestà che il viceré Ruggero Paruta attribuì ad Adamo Asmundo, legum doctor e uno dei maestri razionali, si può spiegare sia per un rapporto di fiducia tra il viceré e Asmundo, sia per la necessità di scegliere il nuovo vicesecreto che era incaricato della gestione degli introiti cittadini. Asmundo ebbe altresì la responsabilità di sovrintendere al procedimento elettorale dello scrutinio e alla presa di possesso delle cariche da parte degli eletti. Il ruolo del magistrato come maestro razionale assicurò per l’appunto cognizione di causa nella scelta del nuovo vicesecreto: si doveva infatti decidere il preposto in seguito alla morte di Pietro Basilico. Inoltre, il viceré ravvisò in Asmundo la persona più idonea a confrontarsi con le numerose querele avanzate dalla comunità sugli ufficiali, tra cui il capitano e i giudici, e privati. Avrebbe inoltre portato a termine cause (anche d’appello) civili, criminali, fiscali, così come relative a qualsiasi altro crimine.67ASP, RC, reg. 72, ff. 26v-28r, 31 agosto [1438], I ind.

Un rapporto di fiducia e una familiarità con il contesto che trovò conferma nel 1449, quando il viceré Lop Ximen d’Urrea lo incaricò di recarsi nuovamente a Randazzo, come suo luogotenente e vicario, a seguito delle molteplici denunce contro le ingiustizie commesse da ufficiali, così come da privati. Asmundo dovette procedere «simpliciter et de plano» nel rispetto «delle costituzioni e dei capitoli del regno e dei privilegi della comunità» e secondo i demeriti, anche ricorrendo se necessario alla tortura e alla confisca dei beni.68ASP, PR, reg. 41, f. 60r-v, 13 marzo [1449], XII ind., pure in questo caso l’ufficiale poté ricorrere all’ultimo supplicio. Rispetto al riferimento «simpliciter et de plano», ricordo che il ritus magne regie curie et totius regni Sicilie curiarum promulgato nel 1446 (riforma della procedura civile e penale dei tribunali) decise, tra le procedure utilizzabili quella per l’appunto sommaria o abbreviata nelle cause civili e nelle cause penali69Testa, Capitula, 1:240-273, si vedano in particolare capp. CXXXIII-CLXXIX (251-265)..

Il ruolo conferito implicò spesso indagini delicate e, aspetto temuto dai magistrati cittadini, il rischio di causare un’erosione del rapporto di fiducia costruito tra loro e la comunità. Si consideri la denuncia dei giurati di Polizzi nel 1457 contro il nobilis Pietro Pisano legum doctor e advocatus della magna regia curia, che aveva obbligato questi ultimi a consegnargli atti che includevano ingiunzioni penali («iniuncioni penali») relative a determinati individui, i quali però, i magistrati facevano notare, avevano pienamente ottemperato a quanto richiesto.70ASP, PR, reg. 47, f. 362r, 22 gennaio 1456/1457, V ind. I giurati erano i principali ufficiali elettivi con ampie prerogative nell’amministrazione in particolare economica. Tuttavia, in base a quanto indicato, essi potevano avere un ruolo, anche se probabilmente limitato, in ambito penale; un aspetto di cui si ha un riscontro pure in fasi precedenti.71Ricordo il provvedimento del 1398 di Martino I nella delicata fase d’assestamento della restaurazione regia, con un consiglio formato da 12 membri, di cui sei eletti dal sovrano e sei dalle universitates (cioè comunità giuridicamente riconosciute); intervenne tra l’altro sul sindacato del capitano che stabilì fosse di competenza dei giurati. Non risulta una delimitazione del loro intervento all’ambito civile: «iurati audiant querelas et quaestiones cuiulisbet contra dictum capitaneum ab una uncia infra usque ad conclusione inclusive et faciant processum et illum mittant ad magnam curiam terminandum; ab una uncia supra iurati audiant querelas»; Testa, Capitula, 1:142, cap. VII. I giurati trovarono pieno appoggio nel presidente del regno (cioè, ripeto, il supplente del viceré) Antonio Rosso Spatafora: in base a quanto stabilito dalla regia gran corte, Pisano non doveva richiedere tali atti e avrebbe restituito quelli che aveva ottenuto.72Sul presidente del regno si veda supra nota 27.

Non sembra però che l’autorità di Pisano venisse scalfita dall’episodio citato, al contrario risulta nuovamente attivo pochi mesi dopo sempre a Polizzi, in qualità di sindacatore. In seguito alle accuse avanzate da un membro dell’élite locale, Andrea Denti, contro il capitano del paese, Pisano sospese quest’ultimo dalla carica e richiese al Denti di presentare, cosa che non aveva fatto, le prove su quanto sostenuto non avendo lui stesso trovato riscontri alle querele. Quindi, Antonio Rosso Spatafora, in base alla decisione della regia gran corte, intimò ad Andrea Denti di dare le prove entro quattro giorni, in caso contrario l’ufficiale avrebbe riottenuto l’incarico.73ASP, PR, reg. 47, f. 451rv, 5 marzo 1457, V ind. Non si specifica, però, quando era stata decisa la citata sospensione e non ho riscontrato ulteriori dati in merito sull’evoluzione del caso.

TRA DESTITUZIONI E RICONFERME

 

Limiti significativi della documentazione non consentono di appurare caso per caso l’esito delle indagini. A volte è possibile verificare il verdetto che previde la destituzione degli ufficiali sotto inchiesta, ma la condizione privilegiata di cui spesso godevano poté portare a una loro remissione.74A Firenze la stragrande maggioranza degli accusati non subiva alcuna condanna; si veda Andrea Zorzi, «I Fiorentini e gli uffici pubblici nel primo Quattrocento: concorrenza, abusi, illegalità», Quaderni Storici 66 (1987): 730. Era il caso, ad esempio, nel 1443 del capitano di Agrigento Giovanni Gallo, destituito in seguito a un processo nato per richiesta del procuratore del regio fisco e realizzato da Bernardo Pinos, giudice del tribunale supremo e ad Agrigento sindacatore e commissario.75ASP, RC, reg. 81, f. 156r-v, 31 dicembre [1443], VII ind. Lo stesso accadeva, nel 1444, al giurato Orlando Arena di Caltagirone «accusatus et denunciatus de spretis penis» ed escluso da Pietro Berlione, uno dei giudici del medesimo tribunale e a Caltagirone commissario e sindacatore, dal concorrere all’esercizio degli uffici cittadini concessi per grazia regia.76ASP, RC, reg. 82, ff. 65v-66r, 8 luglio 1444, VII ind. In entrambi i casi ottennero il perdono del viceré Ximen d’Urrea secondo valutazioni che meritano d’essere richiamate. Gallo riottenne la carica per la sua fama e i servizi resi. Arena venne perdonato anche per la mediazione di nobili e di domestici del sovrano, e per altre ragioni non specificate dal viceré; avrebbe potuto così ricevere magistrature concesse ex gratia.77Per un altro caso di remissione (su cui domestici regis ebbero un ruolo) a seguire la condanna del commissario, si veda ASP, RC, reg. 72, f. 25r, 27 agosto [1438], I ind. Ne beneficiò Pino Russo di Randazzo, che era stato accusato d’insulto.

Il perdono era espressione di rapporti privilegiati, che sono identificabili sia rispetto agli ufficiali locali sia rispetto ai commissari. Si consideri la supplica presentata dalla comunità di Noto al sovrano nel 1454 contro Enrico Crispo legum doctor, che aveva svolto il ruolo di «sindicus et commissarius» avvalendosi dell’aiuto del notarius Orlando Traversa preposto alla registrazione degli atti.78ACA, RC, reg. 2874, ff. 17v-18v, 8 ottobre 1454, III ind. In base alle accuse presentate dal sindaco e ambasciatore di Noto Guglielmo Spalletta, Crispo e Traversa avevano derogato ai privilegi del regno così come a quelli della comunità e commesso «estorsioni ed eccessi». Guglielmo Spalletta evidenziò, inoltre, aspetti d’ordine pratico che avevano ostacolato la presentazione delle denunce da parte di molte vittime delle ingiustizie, che a causa di una condizione di povertà non poterono recarsi presso il rappresentante del re né presso il sovrano per presentare le loro querele.79«Quamplures ipsorum hominum laborant, paupertate et egestate in tantum quod non possunt dictum magnificum viceregem seu presidentem adire et minus se coram vestra maiestate presentare ut eorum querelas contra dictos commissarium sindicatorem et magistrum actorum proponerent», ACA, RC, reg. 2874, f. 18r. Da qui la scelta della supplica al sovrano di obbligare Crispo e Traversa a presentarsi a Noto per rispondere alle querele dinanzi a un esperto di legge scelto dal re per rendere giustizia, procedendo «summarie simpliciter et de plano». Il sovrano accolse la petizione e il nobilis vir Giovanni Manchino «legum doctor et consiliarius regius» avrebbe sindacato l’operato degli ufficiali. Manchino, quindi, doveva informare del processo il viceré Lop Ximen d’Urrea, che, con la collaborazione di esperti di legge non sospetti alle parti, a sua volta avrebbe portato a termine le cause. Non ho incontrato riferimenti sull’esito dell’indagine, ma è noto che pochi mesi dopo, nel febbraio del 1455, il sovrano nominò il notarius Orlando Traversa procuratore fiscale della regia gran corte.80ACA, RC, reg. 2874, ff. 89v-90r, 28 febbraio 1455, III ind.

Ben più gravi i crimini e il diffuso malcostume che si registrarono in quegli anni a Piazza e su cui il sovrano si espresse nel maggio del 1455 con toni allarmati facendo seguito sia a una supplica avanzata da settori della comunità, sia ad azioni disciplinanti del sacro regio consiglio, il massimo organo consultivo, e del viceré, che non avevano avuto effetto anche per azioni ostative dei giudici della magna regia curia.81ACA, RC, reg. 2884, ff. 126r-128v, 11 maggio 1455, III ind. Pietro Burgarella, «Verbali del Sacro Regio Consiglio di Sicilia del secolo XV», Archivio Storico Siciliano 3 (1981): 115-210. Si tratta di un intervento regio di ampia portata che mette in luce un profondo degrado morale e gravi connivenze politiche, che meritano un’analisi a parte. In questa sede mi limito a evidenziare che i numerosi crimini denunciati nella supplica riguardano ufficiali maggiori e minori, tra loro magistrati locali, e commissari, tra cui il già menzionato Pinos, così come soggetti privati. Tra i soprusi e le ingiustizie si citano azioni contro il funzionamento dei consigli cittadini detti parlamenti («interrupcionem parlamentorum maxime in disservicium maiestatis nostre»), lesione dei capitoli del regno e concessioni di commissioni contro tali capitoli (era il caso dell’amplissima potestas concessa al Pinos), indebite pretese per le collette, inadempimento di richieste regie o viceregie, appoggio a malfattori e intimidazioni contro bonos viros e alcuni ufficiali, incarcerazioni non dovute con testimonianze false, la destituzione immotivata del capitano, falsificazione delle monete. Le numerose accuse e la loro dettagliata ricostruzione insistono sull’assenza di giustizia nelle azioni intraprese dai magistrati responsabili, che al contrario agivano secondo propri interessi («propria passione»).82Cf. le indagini di cui poteva essere oggetto il corregidor considerate da María Ángeles Martín Romera, «Empowered Citizens and Questioned Officers: A Social and Anthropological Perspective on the juicios de residencia in Spain (Fifteenth to Seventeenth Centuries)». In The Officer and the People: Accountability and Authority in Pre-Modern Europe, a cura di María Ángeles Martín Romera e Hannes Ziegler (New York: Oxford University Press, 2021), 273-297.

Pur non conoscendo il risultato delle sentenze, e posto che erano numerosi i personaggi implicati e con responsabilità diverse, nel caso di Pinos le accuse dovevano rapidamente trovare una soluzione. Già nel mese di settembre del 1455 il funzionario risulta attivo a Randazzo, dove intervenne per indagare su una serie di soprusi qui addebitati al nobilis Ruggero Spatafora, barone del vicino feudo di Maletto sull’Etna.83ASP, PR, reg. 48, ff. 25v-26r, 12 settembre [1455], IV ind. Spettò per l’appunto al commissario Pinos legum doctor, indicato dalle parti coinvolte, procedere secondo il ritus magne curie per verificare le denunce. Il viceré stabilì che avrebbe dovuto consultare la regia gran corte prima di emettere le sentenze. Inoltre, doveva processare gli ufficiali ma interpellando il tribunale supremo per le cause penali e fiscali prima di emettere i verdetti. Infine, solo con il consenso della comunità poteva esaminare le cause relative all’operato del capitano.

I termini del mandato per Pinos chiariscono una rigorosa delimitazione del suo mandato, probabile risultato della delicatezza del caso e delle accuse anteriormente dirette a lui a Piazza.84Precisi limiti nei mandati non erano comuni. Incarichi che consentivano al sindacatore di conoscere qualsiasi causa, provocarono dure denunce a Patti nel 1445. Il placet regio alla richiesta di limitare il potere d’intervento non risulta di chiara lettura, dato che la concessione rinvia ai provvedimenti (non specificati) concessi dai viceré: «placet regie maiestati confirmare et de novo concedere presentem capitulum iuxta decretaciones eidem facta per vicereges in dicto regno Sicilie». ACA, RC, reg. 2850, ff. 39v-40r, 19 febbraio 1445, VIII ind.

CONCLUSIONE

 

I magistrati investiti con maggiore frequenza di ampie prerogative d’ispezione erano prevalentemente siciliani e tali nomine aumentarono il riconoscimento del potere del sovrano come fonte di privilegi. Quanto considerato indica che solo in casi sporadici, come a Piazza, è possibile sostenere che il funzionario regio sviluppasse vincoli d’interesse con esponenti dell’élite tali da perdere il suo ruolo di vigilanza; in particolare ciò avveniva quando godeva di ampie potestà e realizzava interventi prolungati nel tempo.

Una significativa pressione dal basso per assicurare sia indagini imparziali, ad esempio escludendo nativi, sia limiti alle commissioni, implicavano un preciso richiamo per l’ufficiale preposto a controllare, di cui si ha conferma nelle scelte di riformulare le missioni conferite sino a sconfessarle. Il viceré Ruggero Paruta nel 1438 assicurò la comunità di Catania che i privilegi dovessero ritenersi salvi e la commissione del maestro razionale Adamo Asmundo legum doctor andava considerata come mai realizzata.85ASCC, AG, vol. 7, f. 2v, 23 novembre. In altri termini l’autonomia locale era alla base di una costante tensione per denunciare incarichi ritenuti illegittimi. Questo possibile irrigidimento non sminuiva in alcun modo il convincimento di settori cittadini che il commissario fosse una presenza necessaria, se super partes, per confrontarsi con contrapposizioni interne e ufficiali locali corrotti.

Non va escluso che enfatizzare azioni indebite rientrasse nella logica della negoziazione, che tra l’altro sembra anche permeare ogni azione del sovrano o del viceré. La testimonianza più esplicita è costituita dalla generale assenza di perdita dell’ufficio degli investiti della commissione a seguito d’indagini a loro carico. D’altro canto questo rapporto privilegiato poteva riguardare anche magistrati locali: il verdetto di condanna deciso dal commissario contro di loro non escludeva il perdono regio. Questa scelta pragmatica dava espressione a due esigenze: da un lato del sovrano interessato a controllare tensioni a livello locale, dall’altro di ampi settori delle comunità interessati a chiamare a processo i rei. La decisione adottata non sminuiva il fatto che i magistrati, locali e centrali dovessero rispondere delle loro azioni. Se le circostanze politiche spiegano risoluzioni a favore dei condannati, i processi e le sentenze dovettero comunque costituire un segnale in favore di quanti avevano reso le testimonianze mettendo in discussione la principale fonte dei sistemi di connivenze e cioè l’accettazione del sopruso.

Dichiarazione di conflitto d’interesse:

 

l’autore dichiara di non avere interessi economici né relazioni personali che possano aver influito nel lavoro presentato in questo articolo.

Fonti di finanziamento

 

questo studio è stato finanziato da FEDER/Ministerio de Ciencia, Innovación y Universidades - Agencia Estatal de Investigación, progetti HAR2017-85639-P e PID2021-124356NB-100 e dal Governo Basco nell’ambito del progetto di ricerca del Grupo de Investigación Consolidado IT1465-22.

Autorialità CRediT

 

concettualizzazione, cura dei dati, indagine, metodologia, visualizzazione, scrittura - revisione e modifica.

7. BIBLIOGRAFIA CITATA

 

7.1 Fonti primarie

 

1 

Archivio Comunale di Palermo, Atti del Senato, cassetta 34.

2 

Archivio Comunale di Palermo, Consigli Civici, reg. 61/1.

3 

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4 

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5 

Archivio di Stato di Palermo, Real Cancelleria, regg. 72, 75, 76, 78, 80, 81, 82, 84, 89.

6 

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7 

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8 

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9 

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11 

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1 

Abbreviazioni utilizzate. ACA, RC = Archivo de la Corona de Aragón di Barcellona, Registros de la Real Cancillería; ACP, AS: Archivio Comunale di Palermo, Atti del Senato; ACP, CC: Archivio Comunale di Palermo, Consigli Civici; ASCC, AG = Archivio Storico Comunale di Catania, Atti dei Giurati, regesti di Matteo Gaudioso; ASP, PR = Archivio di Stato di Palermo, Protonotaro del Regno; ASP, RC = Archivio di Stato di Palermo, Real Cancelleria. Se nel documento l’anno non risulta specificato, ma è stato possibile identificarlo con sicurezza, lo indico tra parentesi quadre; ricorro alle parentesi tonde in caso d’incertezze nella lettura della data. Nelle trascrizioni uso le parentesi quadre e quelle tonde rispettivamente per parole mancanti o di cui non sono sicuro. Ho presentato una prima versione di questo testo nel colloquio Gouverner le royaume: le roi, la reine et leurs officiers. Les terres angevines au regard de l’Europe (XIIIe- XVes.), organizzato dall’École française de Rome, il 20-23 settembre 2017.

2 

Sono numerosi i contributi relativi alla fase che qui esamino, mi limito a segnalare in questa nota e nelle seguenti, quelli che, anche con proposte diverse, hanno arricchito le interpretazioni storiografiche. Si vedano Vincenzo D’Alessandro, Politica e società nella Sicilia aragonese (Palermo: U. Manfredi, 1963D’Alessandro, Vincenzo. Politica e società nella Sicilia aragonese. Palermo: U. Manfredi, 1963.); Illuminato Peri, Restaurazione e pacifico stato in Sicilia 1377-1501 (Roma: Laterza, 1988Peri, Illuminato. Restaurazione e pacifico stato in Sicilia 1377-1501. Roma: Laterza, 1988.). Rinvio in particolare a Henri Bresc, Un monde méditerranéen. Économie et société en Sicile 1300-1450 (Roma: École française de Rome, 1986Bresc, Henri. Un monde méditerranéen. Économie et société en Sicile 1300-1450. Roma: École française de Rome, 1986.); Illuminato Peri, La Sicilia dopo il Vespro. Uomini, città e campagne 1282/1376 (Roma: Laterza, 1990Peri, Illuminato. La Sicilia dopo il Vespro. Uomini, città e campagne 1282/1376. Roma: Laterza, 1990.); Stephan R. Epstein, Potere e mercati in Sicilia. Secoli XIII-XVI (Torino: Einaudi, 1996Epstein, Stephan R. Potere e mercati in Sicilia. Secoli XIII-XVI. Torino: Einaudi, 1996.); Stephan R. Epstein, «Governo centrale e comunità locali nella Sicilia tardo-medievale: le fonti capitolari», in Atti e comunicazioni del XIV Congresso di storia della Corona d’Aragona (Cagliari: Carlo Delfino editore, 1990Epstein, Stephan R. «Governo centrale e comunità locali nella Sicilia tardo-medievale: le fonti capitolari». In Atti e comunicazioni del XIV Congresso di storia della Corona d’Aragona, 5: 403-38. Cagliari: CarloDelfino editore, 1990.), 5:403-438.

3 

Questi equilibri influenzarono anche i rapporti di forza nel regno di Giovanni II (1458-1479); si veda Fabrizio Titone, «Conflicto y negociación: el populus en Catania y su participación política en el siglo XV», in La ciudad medieval: nuevas aproximaciones, a cura di Ángela Muñoz Fernández e Francisco Ruiz Gómez (Cádiz: Universidad de Cádiz, 2018Titone, Fabrizio. «Conflicto y negociación: el populus en Catania y su participación política en el siglo XV». In La ciudad medieval: nuevas aproximaciones, a cura di ÁngelaMuñoz Fernández e FranciscoRuiz Gómez, 215-252. Cádiz: Universidad de Cádiz, 2018.), 215-252.

4 

Epstein, Potere, 392Epstein, Stephan R. Potere e mercati in Sicilia. Secoli XIII-XVI. Torino: Einaudi, 1996..

5 

Cf. María Ángeles Martín Romera e Hannes Ziegler, a cura di, The Officer and the People: Accountability and Authority in Pre-Modern Europe (New York: Oxford University Press, 2021Martín Romera, María Ángeles e HannesZiegler, a cura di. The Officer and the People: Accountability and Authority in Pre-Modern Europe. New York: Oxford University Press, 2021.); Moritz Isenmann, Legalität und Herrschaftskontrolle (1200-1600): eine vergleichende Studie zum Syndikatsprozess. Florenz, Kastilien und Valencia (Frankfurt am Main: Vittorio Klostermann, 2010Isenmann, Moritz. Legalität und Herrschaftskontrolle (1200-1600): eine vergleichende Studie zum Syndikatsprozess. Florenz, Kastilien und Valencia. Frankfurt am Main: Vittorio Klostermann, 2010.).

6 

Guido Castelnuovo, Ufficiali e gentiluomini. La società politica sabauda nel tardo medioevo (Milano: Franco Angeli, 1994Castelnuovo, Guido. Ufficiali e gentiluomini. La società politica sabauda nel tardo medioevo. Milano: Franco Angeli, 1994.).

7 

Un ulteriore ricerca (che però qui non considero) ricca di trascrizioni e di regesti è quella di Carmine Fontana, Gli Ebrei in Catania nel secolo XV, 1900, ora disponibile on-line: data di consultazione 13 febbraio 2024, http://www3.lex.unict.it/speciale/tesifontana.pdf. Lo studio di Fontana è preceduto da alcuni commenti di Giuseppe Speciale, che ha avuto cura di rendere disponibile questo lavoro e che precisa la data dell’incendio (Giuseppe Speciale, «La comunità ebraica di Catania nei documenti perduti del secolo XV», Archivio Bollettino, 21 giugno 2017Speciale, Giuseppe. «La comunità ebraica di Catania nei documenti perduti del secolo XV». Archivio Bollettino. 21 giugno 2017.).

8 

Pietro Corrao, Governare un regno. Potere, società e istituzioni in Sicilia fra Trecento e Quattrocento (Napoli: Liguori, 1991Corrao, Pietro. Governare un regno. Potere, società e istituzioni in Sicilia fra Trecento e Quattrocento. Napoli: Liguori, 1991.), 158-200: viceregentes furono presenti dal 1413, ovvero dopo l’assunzione della corona di Sicilia da parte di Ferdinando I nel 1412, quindi si sarebbe usato il termine di vicerex con la nomina dell’Infante Juan nel 1415.

9 

Adelaide Baviera Albanese, «L’ufficio di Consultore del Viceré nel quadro delle riforme dell’organizzazione giudiziaria del sec. XVI in Sicilia», in Scritti minori (Messina: Rubbettino, 1992Baviera Albanese, Adelaide. «L’ufficio di Consultore del Viceré nel quadro delle riforme dell’organizzazione giudiziaria del sec. XVI in Sicilia». In Scritti minori, 111-158. Messina: Rubbettino, 1992.), 125-126.

10 

Francesco P. Di Blasi, Pragmaticae Sanctiones regni Siciliae (Palermo: Regia typographia, 1791Di Blasi, Francesco P. Pragmaticae Sanctiones regni Siciliae. Vol. 1. Palermo: Regia typographia, 1791.), 1:40-46; Francesco M. Testa, Capitula regni Siciliae (Palermo: Angelo Felicella, 1741Testa, Francesco M. Capitula regni Siciliae. Palermo: Angelo Felicella, 1741.), 1:205-213, capp. I-XX, si vedano inoltre le precedenti ordinationes dei viceré Vasquez, Torres e Cardona del 1420 (Testa, Capitula, 1:273-287, capp. CCV-CCLIII); Baviera Albanese, «L’ufficio», 116-118; Beatrice Pasciuta, In regia curia civiliter convenire. Giustizia e città nella Sicilia tardomedievale (Torino: Giappichelli, 2003Pasciuta, Beatrice. In regia curia civiliter convenire.Giustizia e città nella Sicilia tardomedievale. Torino: Giappichelli, 2003.), 47-48, 204; Beatrice Pasciuta, Placet regie maiestati. Itinerari della normazione nel tardo medioevo siciliano (Torino: Giappichelli, 2005Pasciuta, Beatrice. Placet regie maiestati. Itinerari della normazione nel tardo medioevo siciliano. Torino: Giappichelli, 2005.), 158-159.

11 

Era, ad esempio, il caso del consiliarius regius Antonio Compagno «legum doctor unus ex iudicibus magne regie curie tamquam commissarius» inviato a Randazzo come commissario per un’indagine; ASP, RC, reg. 72, f. 25r, 27 agosto [1438], I ind. Nel 1441 il regio consigliere Francesco Aricio legum doctor e giudice della magna regia curia si recò a Piazza, con un’ampia potestà conferita dal viceré, in seguito ad atti di resistenza contro un commissario e altri ufficiali; ASP, RC, reg. 76, f. 416r-v, 28 febbraio [1441], IV ind. Sul sistema di ispezione in una fase anteriore, quella angioina, si veda Serena Morelli, «La territorializzazione della politica: competenze, metodi e obiettivi del personale amministrativo addetto alle inchieste», in Quand gouverner c’est enquêter. Les pratiques politiques de l’enquête princière (Occident, XIIIᵉ-XIVᵉ siècles), a cura di Thierry Pécout (Parigi: Editions De Boccard, 2010Morelli, Serena. «La territorializzazione della politica: competenze, metodi e obiettivi del personale amministrativo addetto alle inchieste». In Quand gouverner c’est enquêter. Les pratiques politiques de l’enquête princière (Occident, XIIIᵉ-XIVᵉ siècles), a cura di ThierryPécout, 239-256. Parigi: Editions De Boccard,2010.), 239-256; Serena Morelli, Per conservare la pace. I Giustizieri del regno di Sicilia da Carlo I a Carlo II d’Angiò (Napoli: Liguori, 2012Morelli, Serena. Per conservare la pace. I Giustizieri del regno di Sicilia da Carlo I a Carlo II d’Angiò. Napoli: Liguori, 2012.), 75-89.

12 

Inoltre, nel 1434 Alfonso V stabilì l’obbligo degli ufficiali locali di denunciare alla regia gran corte crimini per i quali era prevista la pena capitale, la mutilazione e la deportazione. Testa, Capitula, 1:218, cap. XXIIITesta, Francesco M. Capitula regni Siciliae. Palermo: Angelo Felicella, 1741.. Sulla datazione di queste norme cf. Pasciuta, Placet, 160-161Pasciuta, Beatrice. Placet regie maiestati. Itinerari della normazione nel tardo medioevo siciliano. Torino: Giappichelli, 2005..

13 

Testa, Capitula, 1:211, cap. XIVTesta, Francesco M. Capitula regni Siciliae. Palermo: Angelo Felicella, 1741..

14 

ASP, RC, reg. 89, ff. 86v-87r, 2 gennaio [1453], I ind.

15 

Come indicato nella nomina regia del notarius Antonio Pesce civis di Catania, che il sovrano in deroga ai privilegi nominò come sesto commissario; ASP, PR, reg. 34, f. 30v, 17 settembre 1436, XV ind. Per un’altra nomina a vita: Giovanni Auchello alias Vibona di Messina, ASP, PR, reg. 45, f. 203v, 29 marzo [1454], II ind.

16 

ASP, RC, reg. 89, ff. 86v-87r, 2 gennaio [1453], I ind.; si veda anche la nomina di Marco Calogero: ASP, RC, reg. 89, ff. 102v-103r, 19 dicembre [1453], I ind.

17 

ASP, PR, reg. 34, f. 30v, 17 settembre 1436, XV ind.

18 

Alcuni esempi di commissari attivi durante il regno di Alfonso V: Antonio Canchillerio, ASP, PR, reg. 24, f. 221r-v, 10 maggio 1425, III ind. Notarius Andrea Ravello, ASP, PR, reg. 33, ff. 120r-121r, 10 maggio [1433], XI ind. Adamo Asmundo legum doctor, ASP, RC, reg. 72, ff. 26v-28r, 31 agosto [1438], I ind. Consiliarius regius Gualterio Paternò legum doctor, ASP, RC, reg. 72, ff. 84v-85r, 4 luglio 1438, I ind. Consiliarius regius Antonio Gallina, ASP, RC, reg. 75, f. 131v, 28 settembre [1439], III ind. Notarius Gaspare Fontana e notarius Bernardo Barbarino, ASP, RC, reg. 75, ff. 204v-205r, 26 novembre [1439], III ind. Antonio Mithaletto legum doctor, ASP, RC, reg. 78, ff. 171r-172r, 28 febbraio [1442], V ind. Nobilis vir Orlando Traversa di Palermo (a differenza degli altri casi si specifica commissario ordinario della magna regia curia), ACA, RC, reg. 2860, ff. 152v-153v, 5 aprile 1448, XI ind. Notarius Giovanni Blundo, nominato per intercessione di «familiares et domestici», rimpiazza quondam Vinuto Aurifiche, ASP, PR, reg. 42, ff. 105v-106r, 16 luglio [1450], XII ind. Melchior La Ripa legum doctor, ASP, RC, reg. 84, 106r-v, 11 novembre [1450], XIV ind. Notarius Matteo Massaro, ASP, RC, reg. 84, ff. 110v-112v, 15 novembre [1450], XIV ind. Notarius Ugueto Milacio, nominato per intercessione di «familiares et domestici», ASP, RC, reg. 89, ff. 86v-87r, 2 gennaio [1453], I ind. Marco Calogero, nominato per intercessione di «familiares et domestici», ASP, RC, reg. 89, ff. 102v-103r, 19 dicembre [1453], I ind. Enrico Crispo legum doctor, ACA, RC, reg. 2874, ff. 17v-18v, 8 ottobre 1454, III ind. Giovanni Auchello alias Vibona di Messina, nominato per intercessione di «familiares et domestici», ASP, PR, reg. 45, f. 203v, 29 marzo [1454], II ind. Notarius Filippo Scolaribus, per intercessione di «familiares et domestici», ASP, PR, reg. 45, f. 625v, 20 novembre 145(4), II ind.

19 

Agustín Bermúdez Aznar, El Corregidor en Castilla durante la baja edad media (1348-1474) (Murcia: Editum, 1974Bermúdez, Aznar Agustín. El Corregidor en Castilla durante la baja edad media (1348-1474). Murcia: Editum, 1974.).

20 

Luigi Genuardi, «Diritto pubblico spagnolo in Sicilia», Rivista di Storia del Diritto italiano 6 (1933Genuardi, Luigi. «Diritto pubblico spagnolo in Sicilia». Rivista di Storia del Diritto italiano 6 (1933): 39-99.): 85; Pasciuta, Placet, 268-269.

21 

Fabrizio Titone, «Aragonese Sicily as a Model of Late Medieval State Building», Viator 44 (2013Titone, Fabrizio. «Aragonese Sicily as a Model of Late Medieval State Building». Viator 44(2013): 217-249.): 217-249.

22 

ASP, RC, reg. 80. f. 103r.

23 

ASP, RC, reg. 84, ff. 108r-109r, 11 novembre 1451, XIV ind.

24 

Di Starranu è noto che possedeva oltre a una casa, alcune vigne, 60 vasselli (arnie) di api, quattro buoi e una giumenta. Starranu scappò e venne bandito, la sua casa fu abbattuta e bruciata. Nella casa di Starranu si trovarono dei beni di Lucia, figlia di Bartolomeo Caruso e moglie di mastru Giacomo Bonfanti, inavvertitamente bruciati nell’azione punitiva. Quindi, come forma di compensazione, beni dello Starranu presi dalla regia corte furono dati a Giacomo Bonfanti in qualità di marito e legittimo amministratore di Lucia. ASP, RC, reg. 84, ff. 108v-109r.

25 

Fabrizio Titone, «Il tumulto popularis del 1450: conflitto politico e società urbana a Palermo», Archivio Storico Italiano 163 (2005Titone, Fabrizio. «Il tumulto popularis del 1450: conflitto politico e società urbana a Palermo». Archivio Storico Italiano 163 (2005): 43-86.): 62-83.

26 

ACP, AS, cassetta 34, ff. 74r-75r, 21 febbraio 1451, XIV ind. Ancora in aprile si discusse su come reperire la somma necessaria; ACP, CC, reg. 61/1, f. 179r-v, 1 aprile; nel mese di maggio la somma risulta conseguita; reg. 61/1, ff. 182r-183r, 26 maggio; in entrambi casi l’anno è il 1451.

27 

A Sciacca la scelta della comunità di non consentire un’esportazione di frumento, nonostante la mediazione del presidente del regno (cioè il supplente del viceré), indusse quest’ultimo a inviare in qualità di commissario il nobilis Giovanni Santo Clemente miles e algozirius stabilendo che come primo atto avrebbe eretto le forche nella piazza; ASP, PR, reg. 48, ff. 46v-47r, 15 ottobre [1455], IV ind. (si specifica l’incarico di commissario in ASP, PR, reg. 48, ff. 360v-361r, 22 giugno 1456, IV ind.). Ciò inasprì il confronto che portò all’abbattimento delle forche. Quindi il viceré Lop Ximen d’Urrea decise d’inviare il notarius Lemmo Bracco, uno dei commissari della regia gran corte, per processare, in collaborazione con il capitano e il suo giudice, i colpevoli; ASP, PR, reg. 48, f. 134r-v, 2 gennaio [1456], IV ind. Il viceré avrebbe successivamente perdonato chi coinvolto accettando la giustificazione che avevano ostacolato l’esportazione temendo una penuria di frumento; ASP, PR, reg. 48, ff. 360v-361r, 22 giugno 1456, IV ind. Nei periodi di vacanza della carica del viceré, il presidente del regno, di solito un siciliano, era responsabile dell’ordinaria amministrazione. Rinvio a Bresc, Un monde, 860Bresc, Henri. Un monde méditerranéen. Économie et société en Sicile 1300-1450. Roma: École française de Rome, 1986.; Pasciuta, Placet, 161Pasciuta, Beatrice. Placet regie maiestati. Itinerari della normazione nel tardo medioevo siciliano. Torino: Giappichelli, 2005..

28 

Giuseppe Giarrizzo, «La Sicilia dal Cinquecento all’unità d’Italia», in Storia d’Italia, vol. 16, La Sicilia dal Vespro all’Unità d’Italia, a cura di Giuseppe Galasso (Torino: Utet, 1989Giarrizzo, Giuseppe. «La Sicilia dal Cinquecento all’unità d’Italia». In Storia d’Italia, vol. 16, La Sicilia dal Vespro all’Unità d’Italia, a cura di GiuseppeGalasso, 99-793. Torino: Utet, 1989.), 243.

29 

Baviera Albanese, «L’ufficio», 125-126Baviera Albanese, Adelaide. «L’ufficio di Consultore del Viceré nel quadro delle riforme dell’organizzazione giudiziaria del sec. XVI in Sicilia». In Scritti minori, 111-158. Messina: Rubbettino, 1992..

30 

Per altri contesti, con riferimento a funzionari con simili prerogative, cf. Alexandra Beauchamp, «Contra injurias, violencias, corrumpciones sordidas, fraudes enormes, extorsiones illicitas… enquêtes générales et contrôle des officiers royaux dans la Couronne d’Aragon des années 1340». In Quand gouverner c’est enquêter. Les pratiques politiques de l’enquête princière (Occident, XIIIᵉ-XIVᵉ siècles), a cura di Thierry Pécout (Parigi: Editions De Boccard, 2010Beauchamp, Alexandra. «Contra injurias, violencias, corrumpciones sordidas, fraudes enormes, extorsiones illicitas… enquêtes générales et contrôle des officiers royaux dans la Couronne d’Aragon des années 1340». In Quand gouverner c’est enquêter. Les pratiques politiques de l’enquête princière (Occident, XIIIᵉ-XIVᵉ siècles), a cura di ThierryPécout, 55-76. Parigi: Editions De Boccard, 2010.), 227-230.

31 

Pietro Corrao, «Gli ufficiali del regno di Sicilia nel Quattrocento», Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa 4 (1997Corrao, Pietro. «Gli ufficiali del regno di Sicilia nel Quattrocento». Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa 4 (1997): 313-334.): 324.

32 

ASP, PR, reg. 25, ff. 168v-169r, 9 luglio 1423, I ind. Cf. Ennio I. Mineo, «Gli Speciale. Nicola viceré e l'affermazione politica della famiglia», Archivio Storico della Sicilia Orientale 79 (1983Mineo, Ennio I. «Gli Speciale. Nicola viceré e l’affermazione politica della famiglia». Archivio Storico della Sicilia Orientale 79 (1983): 287-371.): 287-371.

33 

ASCC, AG, vol. 3, ff. 13v-15r, 19 ottobre 1434, XIII ind. Si noti che queste petizioni non sono riportate in Salvatore Giambruno e Luigi Genuardi, Capitoli inediti delle città demaniali di Sicilia (Palermo: Scuola Tip. Boccone del Povero, 1918Giambruno, Salvatore e LuigiGenuardi. Capitoli inediti delle città demaniali di Sicilia. Palermo: Scuola Tip. Boccone del Povero, 1918.), si vedano 147-155.

34 

Questa richiesta va collegata al privilegio che i cittadini catanesi dovevano essere giudicati a Catania. Questo è un aspetto esplicitato nel 1443, quando, nelle petizioni presentate al viceré Ximen d’Urrea, si specifica che il privilegio non doveva considerarsi interrotto se nel passato cittadini di Catania erano stati giudicati al di fuori. Giambruno e Genuardi, Capitoli, 156-157, 28 dicembre 1443, VII indGiambruno, Salvatore e LuigiGenuardi. Capitoli inediti delle città demaniali di Sicilia. Palermo: Scuola Tip. Boccone del Povero, 1918..

35 

Alfonso V anche in un’altra occasione avrebbe fatto riferimento a quanto stabilito nel 1433; Giambruno e Genuardi, Capitoli, 171-172, 14 marzo 1444, VII indGiambruno, Salvatore e LuigiGenuardi. Capitoli inediti delle città demaniali di Sicilia. Palermo: Scuola Tip. Boccone del Povero, 1918..

36 

ASCC, AG, vol. 7, ff. 1r-2r, 12 ottobre 1438, II ind. Sui maestri razionali cf. Adelaide Baviera Albanese, «L’istituzione dell’ufficio di conservatore del real patrimonio e gli organi finanziari del regno di Sicilia nel sec. XV (contributo alla storia delle magistrature siciliane)», in Scritti minori (Messina: Rubbettino, 1992Baviera Albanese, Adelaide. «L’istituzione dell’ufficio di conservatore del real patrimonio e gli organi finanziari del regno di Sicilia nel sec. XV (contributo alla storia delle magistrature siciliane)». In Scritti minori, 3-107. Messina: Rubbettino, 1992.), 75-96; Alessandro Silvestri, L’amministrazione del regno di Sicilia. Cancelleria, apparati finanziari e strumenti di governo nel tardo Medioevo (Roma: Viella, 2018Silvestri, Alessandro. L’amministrazione del regno di Sicilia. Cancelleria, apparati finanziari e strumenti di governo nel tardo Medioevo. Roma: Viella, 2018.), 205-208, 256-257, 386.

37 

ASCC, AG, vol. 7, f. 6v. Per un altro caso d’invio di un commissario per conseguire la sovvenzione richiesta dal sovrano si veda ASP, RC, reg. 78, ff. 171r-172r, 28 febbraio [1442], V ind. Sull’attribuzione a commissari d’incarichi per raccogliere redditi richiesti dal sovrano alcuni esempi in Alessandro Silvestri, «Pagari certa quantitati secundu la taxa. La strategia fiscale di Alfonso il Magnanimo in Sicilia, Niccolò Piccinino e la conquista di Napoli (1441-1442)», Studia Historica. Storia Medieval 40, n.º 2 (2022Silvestri, Alessandro. «Pagari certa quantitati secundu la taxa. La strategia fiscale di Alfonso il Magnanimo in Sicilia, Niccolò Piccinino e la conquista di Napoli (1441-1442)». Studia Historica. Storia Medieval 40, n.º 2 (2022): 83-116.): 90-91, 93, 97, 106-109. Delle serie documentarie indicate dall’autore (nella lista delle abbreviazioni) non vi è però traccia nello studio di quelle del Protonotaro del Regno e della Real Cancelleria.

38 

ASCC, AG, vol. 7, ff. 1v-2r.

39 

ASCC, AG, vol. 7, f. 2v, 23 novembre.

40 

ASCC, AG, vol. 7, ff. 2v-3r, 18 febbraio 1438/1439, II ind.

41 

Testa, Capitula, 1:333-358, capp. CCCLVII-CDVIITesta, Francesco M. Capitula regni Siciliae. Palermo: Angelo Felicella, 1741.. Cf., tra gli altri, Vincenzo D’Alessandro, «Sulle assemblee parlamentari della Sicilia medievale», Archivio Storico per la Sicilia orientale 80 (1984D’Alessandro, Vincenzo. «Sulle assemblee parlamentari della Sicilia medievale». Archivio Storico per la Sicilia orientale 80 (1984): 5-17.): 11-12; Pasciuta, Placet, 208Pasciuta, Beatrice. Placet regie maiestati. Itinerari della normazione nel tardo medioevo siciliano. Torino: Giappichelli, 2005.. In merito alla riunione del parlamento del 1439 e alle negoziazioni parallele mi permetto di rinviare a Fabrizio Titone, «Alcune osservazioni sul parlamento in Sicilia: l’assemblea del 1439», in La veu del Regne. Representació política, recursos públics i construcción de l’Estat. 600 anys de la Generalitat Valenciana, a cura di Antoni Furió (Valencia: Universitat de València, in stampaTitone, Fabrizio. «Alcune osservazioni sul parlamento in Sicilia: l’assemblea del 1439». In La veu del Regne. Representació política, recursos públics i construcción de l’Estat. 600 anys de la Generalitat Valenciana, a cura di AntoniFurió. Valencia: Universitat de València, in stampa.).

42 

ASCC, AG, vol. 7, f. 5v.

43 

ASCC, AG, vol. 7, ff. 3r-5r, 1 aprile 1439, II ind. Gaudioso specifica, in f. 4r, che due petizioni, sui commissari e sul diritto di replica, furono approvate a parte il 15 aprile. Le petizioni del 1439 risultano con poche differenze (e tra queste non si indicano i nomi degli ambasciatori) negli atti della Real Cancelleria trascritti in Giambruno e Genuardi, Capitoli, 160-164, 1 aprile 1439, II ind.; 165-166, 15 aprile 1439, II ind.

44 

ASCC, AG, vol. 7, ff. 5r-6r, 8 aprile 1439, II ind. Si veda anche f. 6v.

45 

«Item supplica la dicta universita da che essa have obtenuto privilegio dila dicta Regia Maiesta che in la dicta terra non digia venire commissario sindu in causis arduis credendo intendere si le dicte cause secundo la sua supplicacione in crimine lese maiestatis, heresis, in feudis quaternatis seu parte ipsorum et in causa appellacionis et li iudici de la Gran Corte lo volino interpetrare le dicte cause ardue in omne delicto che sia a relegacione, suppl[ica] sia vestra (interesse) de volere declarare lo dicto privilegio havere loco in le dicte cause superius expressatis zo e de crimine lese maiestatis, heresis, feudis quaternatis et quota eorum partem ita quod in certis aliis causis sive delictis stet dictum privilegium quod commissarius venire non possit. Placet regie maiestati quod dictum privilegium servetur ultra dictas causas et causas nephandi criminis et false monete et eciam causas magni tumultus et sedicionis in populo non possit accedere commissarius ad dictam terram sub quocumque nomine nuncupetur». ACA, RC, reg. 2858, ff. 152v-153r, 29 dicembre 1448, XI ind.

46 

Giambruno e Genuardi, Capitoli, 165, 15 aprile 1439, II indGiambruno, Salvatore e LuigiGenuardi. Capitoli inediti delle città demaniali di Sicilia. Palermo: Scuola Tip. Boccone del Povero, 1918.. (in questo caso in Giambruno e Genuardi risultano informazioni non presenti nella trascrizione di Gaudioso, vol. 7, f. 3v), così rispondeva il viceré: «quod conmissarii cives non possint ad dictam civitatem ad sindicandum accedere, nec etiam quo ad facta concernent iusticiam, super aliis respondet responsum esse super aliis capitulis pridie eidem domino viceregi presentatis».

47 

Giambruno e Genuardi, Capitoli, 171-172, 14 marzo 1444, VII ind.Giambruno, Salvatore e LuigiGenuardi. Capitoli inediti delle città demaniali di Sicilia. Palermo: Scuola Tip. Boccone del Povero, 1918.

48 

ACA, RC, reg. 2838, f. 127r-v, 30 settembre 1441, V ind.

49 

ASCC, AG, vol. 7, f. 4r.

50 

Giambruno e Genuardi, Capitoli, 166-176, in particolare si vedano 172-173, 14 marzo 1444, VII ind.Giambruno, Salvatore e LuigiGenuardi. Capitoli inediti delle città demaniali di Sicilia. Palermo: Scuola Tip. Boccone del Povero, 1918.

51 

ASCC, AG, vol. 12, f. 7r, 2(3) giugno 1450, XIII ind.

52 

Testa, Capitula, 1:141, cap. VII.Testa, Francesco M. Capitula regni Siciliae. Palermo: Angelo Felicella, 1741.

53 

Genuardi, «Diritto», 56-59Genuardi, Luigi. «Diritto pubblico spagnolo in Sicilia». Rivista di Storia del Diritto italiano 6 (1933): 39-99.; Bresc, Un monde, 839Bresc, Henri. Un monde méditerranéen. Économie et société en Sicile 1300-1450. Roma: École française de Rome, 1986..

54 

Mi riferisco per il regno di Alfonso V, per esempio, alla carica di viceré e, a un livello inferiore, a quella di algozirus; si veda Bresc, Un monde, 762, 765Bresc, Henri. Un monde méditerranéen. Économie et société en Sicile 1300-1450. Roma: École française de Rome, 1986.. Bresc identifica 17 viceré nel regno di Alfonso V di cui 12 iberici e cinque siciliani. In contrapposizione si consideri il caso della Savoia in cui «la scarsa importazione di personale straniero negli apparati centrali trova riscontro nell’amministrazione territoriale»; Castelnuovo, Ufficiali, 246Castelnuovo, Guido. Ufficiali e gentiluomini. La società politica sabauda nel tardo medioevo. Milano: Franco Angeli, 1994..

55 

Testa, Capitula, 1:347, cap. CCCLXXXVITesta, Francesco M. Capitula regni Siciliae. Palermo: Angelo Felicella, 1741., nella petizione si incluse l’eccezione del viceré e del conservatore (preposto al controllo del bilancio) e il sovrano nel suo placet stabilì ulteriori eccezioni tra cui per la carica di castellano. Baviera Albanese, «L’istituzione», 3-31Baviera Albanese, Adelaide. «L’istituzione dell’ufficio di conservatore del real patrimonio e gli organi finanziari del regno di Sicilia nel sec. XV (contributo alla storia delle magistrature siciliane)». In Scritti minori, 3-107. Messina: Rubbettino, 1992.; Silvestri, L’amministrazione, 174-191Silvestri, Alessandro. L’amministrazione del regno di Sicilia. Cancelleria, apparati finanziari e strumenti di governo nel tardo Medioevo. Roma: Viella, 2018..

56 

Testa, Capitula, 1:340-341, cap. CCCLXVITesta, Francesco M. Capitula regni Siciliae. Palermo: Angelo Felicella, 1741.. Baviera Albanese, «L’ufficio», 117-118Baviera Albanese, Adelaide. «L’ufficio di Consultore del Viceré nel quadro delle riforme dell’organizzazione giudiziaria del sec. XVI in Sicilia». In Scritti minori, 111-158. Messina: Rubbettino, 1992., indica che il quarto giudice sarebbe stato scelto alternativamente da uno dei valli del regno, va precisato che nel provvedimento regio del 1446 non si specifica questa alternanza e neanche negli ulteriori provvedimenti citati dalla Baviera Albanese.

57 

Come nel caso di giudici messinesi, ACA, RC, reg. 2827, f. 166v, 21 gennaio 1436.

58 

Bresc, Un monde, 765Bresc, Henri. Un monde méditerranéen. Économie et société en Sicile 1300-1450. Roma: École française de Rome, 1986..

59 

ACA, RC, reg. 2874, ff. 17v-18v, 8 ottobre 1454, III ind.

60 

ACA, RC, reg. 2838, f. 128v, 30 settembre 1441, V ind.

61 

ASP, RC, reg. 84, ff. 94v-95r, 28 ottobre [1450], XIV ind. (Piazza e Nicosia). Cf. Alexandra Beauchamp, «Purga de taula and Other Procedures of Royal Officers’ Accountability in the Medieval Crown of Aragon (Fourteenth-Century)», in The Officer and the People: Accountability and Authority in Pre-Modern Europe, a cura di María Ángeles Martín Romera e Hannes Ziegler (New York: Oxford University Press, 2021Beauchamp, Alexandra. «Purga de taula and Other Procedures of Royal Officers’ Accountability in the Medieval Crown of Aragon (Fourteenth-Century)». In The Officer and the People: Accountability and Authority in Pre-Modern Europe, a cura di María ÁngelesMartín Romera e HannesZiegler, 133-152. New York: Oxford University Press, 2021.), 133-152.

62 

ASP, RC, reg. 76, ff. 82r-83v, 6 settembre 1440, IV ind.

63 

Ad esempio ASP, RC, reg. 76, f. 416r-v, 28 febbraio [1441], IV ind.: il barone di Convicino, e altre persone non specificate della comunità di Piazza, erano accusate d’inadempimento delle pene regie («minisprezandu li peni ki per parti regali su stati misi») e di resistenza armata sia al commissario sia ad altri ufficiali.

64 

Come risulta ad esempio già in età angioina; si veda Morelli, «La territorializzazione», 248Morelli, Serena. «La territorializzazione della politica: competenze, metodi e obiettivi del personale amministrativo addetto alle inchieste». In Quand gouverner c’est enquêter. Les pratiques politiques de l’enquête princière (Occident, XIIIᵉ-XIVᵉ siècles), a cura di ThierryPécout, 239-256. Parigi: Editions De Boccard,2010..

65 

ASP, RC, reg. 76, ff. 588v-589v, 4 agosto [1441], IV ind.

66 

Sulla sospensione dei magistrati dai loro uffici durante le indagini, ricordo che era una prassi comune anche in altre realtà, come in Castiglia, quando il corregidor si recava nella comunità, gli alcaldes e l’alguacil, ufficiali cittadini, gli consegnavano i bastoni di comando (varas). A sua volta il corregidor dava il bastone di comando agli alcaldes e l’alguacil da lui nominati. Rinvio a Bermúdez Aznar, El Corregidor, 141-142, 218Bermúdez, Aznar Agustín. El Corregidor en Castilla durante la baja edad media (1348-1474). Murcia: Editum, 1974..

67 

ASP, RC, reg. 72, ff. 26v-28r, 31 agosto [1438], I ind.

68 

ASP, PR, reg. 41, f. 60r-v, 13 marzo [1449], XII ind., pure in questo caso l’ufficiale poté ricorrere all’ultimo supplicio.

69 

Testa, Capitula, 1:240-273, si vedano in particolare capp. CXXXIII-CLXXIX (251-265)Testa, Francesco M. Capitula regni Siciliae. Palermo: Angelo Felicella, 1741..

70 

ASP, PR, reg. 47, f. 362r, 22 gennaio 1456/1457, V ind.

71 

Ricordo il provvedimento del 1398 di Martino I nella delicata fase d’assestamento della restaurazione regia, con un consiglio formato da 12 membri, di cui sei eletti dal sovrano e sei dalle universitates (cioè comunità giuridicamente riconosciute); intervenne tra l’altro sul sindacato del capitano che stabilì fosse di competenza dei giurati. Non risulta una delimitazione del loro intervento all’ambito civile: «iurati audiant querelas et quaestiones cuiulisbet contra dictum capitaneum ab una uncia infra usque ad conclusione inclusive et faciant processum et illum mittant ad magnam curiam terminandum; ab una uncia supra iurati audiant querelas»; Testa, Capitula, 1:142, cap. VIITesta, Francesco M. Capitula regni Siciliae. Palermo: Angelo Felicella, 1741..

72 

Sul presidente del regno si veda supra nota 27.

73 

ASP, PR, reg. 47, f. 451rv, 5 marzo 1457, V ind.

74 

A Firenze la stragrande maggioranza degli accusati non subiva alcuna condanna; si veda Andrea Zorzi, «I Fiorentini e gli uffici pubblici nel primo Quattrocento: concorrenza, abusi, illegalità», Quaderni Storici 66 (1987Zorzi, Andrea. «I Fiorentini e gli uffici pubblici nel primo Quattrocento: concorrenza, abusi, illegalità». Quaderni Storici 66 (1987): 725-751.): 730.

75 

ASP, RC, reg. 81, f. 156r-v, 31 dicembre [1443], VII ind.

76 

ASP, RC, reg. 82, ff. 65v-66r, 8 luglio 1444, VII ind.

77 

Per un altro caso di remissione (su cui domestici regis ebbero un ruolo) a seguire la condanna del commissario, si veda ASP, RC, reg. 72, f. 25r, 27 agosto [1438], I ind. Ne beneficiò Pino Russo di Randazzo, che era stato accusato d’insulto.

78 

ACA, RC, reg. 2874, ff. 17v-18v, 8 ottobre 1454, III ind.

79 

«Quamplures ipsorum hominum laborant, paupertate et egestate in tantum quod non possunt dictum magnificum viceregem seu presidentem adire et minus se coram vestra maiestate presentare ut eorum querelas contra dictos commissarium sindicatorem et magistrum actorum proponerent», ACA, RC, reg. 2874, f. 18r.

80 

ACA, RC, reg. 2874, ff. 89v-90r, 28 febbraio 1455, III ind.

81 

ACA, RC, reg. 2884, ff. 126r-128v, 11 maggio 1455, III ind. Pietro Burgarella, «Verbali del Sacro Regio Consiglio di Sicilia del secolo XV», Archivio Storico Siciliano 3 (1981Burgarella, Pietro. «Verbali del Sacro Regio Consiglio di Sicilia del secolo XV». Archivio Storico Siciliano 3(1981): 115-210.): 115-210.

82 

Cf. le indagini di cui poteva essere oggetto il corregidor considerate da María Ángeles Martín Romera, «Empowered Citizens and Questioned Officers: A Social and Anthropological Perspective on the juicios de residencia in Spain (Fifteenth to Seventeenth Centuries)». In The Officer and the People: Accountability and Authority in Pre-Modern Europe, a cura di María Ángeles Martín Romera e Hannes Ziegler (New York: Oxford University Press, 2021Martín Romera, María Ángeles. «Empowered Citizens and Questioned Officers: A Social and Anthropological Perspective on the juicios de residencia in Spain (Fifteenth to Seventeenth Centuries)». In The Officer and the People: Accountability and Authority in Pre-Modern Europe, a cura di María ÁngelesMartín Romera e HannesZiegler, 273-297. New York: Oxford University Press, 2021.), 273-297.

83 

ASP, PR, reg. 48, ff. 25v-26r, 12 settembre [1455], IV ind.

84 

Precisi limiti nei mandati non erano comuni. Incarichi che consentivano al sindacatore di conoscere qualsiasi causa, provocarono dure denunce a Patti nel 1445. Il placet regio alla richiesta di limitare il potere d’intervento non risulta di chiara lettura, dato che la concessione rinvia ai provvedimenti (non specificati) concessi dai viceré: «placet regie maiestati confirmare et de novo concedere presentem capitulum iuxta decretaciones eidem facta per vicereges in dicto regno Sicilie». ACA, RC, reg. 2850, ff. 39v-40r, 19 febbraio 1445, VIII ind.

85 

ASCC, AG, vol. 7, f. 2v, 23 novembre.